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Il cartiglio del vento
Questi testi sono improntati ad un’ironia mordace che sfata il mito romantico
dell’amore, attraverso un tono divertito e giocoso: “Trasuda di pensieri
luminescenti / il paesaggio gremito di presenze / che ruotano nell’onda come
venti / sussurranti carezze per le assenze / della dama che con l’occhio dei
perdenti / ricostruisce la trama di valenze / consumate dal tempo nei dolenti /
anfratti del suo cuore che movenze / d’infinito reclama per l’amore / puro
conservato come un fiore.” (Fiore).
I sentimenti vengono sottoposti al vaglio dell’intelligenza e
dell’interpretazione arguta: “Senza voce, con lo sguardo spezzato, / essere
tutto, ma niente nel silenzio: / vago fremito, riso con il pianto / delle
foglie, melodioso canto / del cuore che sobbalza, con ritenzio- / ne di misere
colpe, sublimato / il perfido progetto di fuggire / lontano per tutti i mali
lenire.” (Consolazione). Ci si avvale del bestiario come metafora sagace
della dinamica amorosa: “Si nasconde il ramarro nella foglia / di fico,
soppesando se conviene / lanciarsi nella fuga, con il cuore / che sobbalza, o
cavarsi la voglia / di corniole, cancellando le pene / di desideri fasulli con
il fiore / di sambuco che ride nel trambusto, / ritrovando del gioco tutto il
gusto…” (Il ramarro).
Prevale un’atmosfera scherzosa, licenziosa e
smaliziata: “Magari ci sarà anche poca luce / contro il terrore della morte, /
però intanto, se non vi dispiace, / accendo una lampadina in santa pace / che
salvi dall’ecatombe, con le scorte / d’ossigeno: vediamo chi scuce / un poco di
grazia del paradiso, / se ci si mette anche un sorriso.” (Ecatombe); “Chi
vado a cercare nel cuore / della notte, svilita nell’ardore, / per una parola di
conforto, / se mi resta soltanto quel torto / d’inseguire chimere, con il fiore
/ dell’incanto nel tuffo dell’ardore? / Si domanda la cincia sconsolata / che
s’è beccata un’altra fregata…” (L’amore della cincia). Vi è un vezzo
giocoso attraverso un timbro di ardita demitizzazione letteraria, che evoca il
disincantato ridimensionamento dei crepuscolari, come il feticismo vegetale di
Gozzano: “Se s’inceppa la macchina oliata / del sentimento, la storia si sfalda,
/ fa acqua da ogni parte la baldanza / del ramarro: vista la mal parata /
sparisce in una foglia, con la balda / illusione di giostrare la danza / del
cuore scapestrato che sbaraglia / ogni nemico, quando se la squaglia…” (L’intrepido
ramarro).
Si scrutano con chiaroveggente intuitività i sentimenti e le
emozioni: “Infiniti abissi della mente / negli spazi celesti, ricercando /
l’incanto, l’effimero che fugge / nello specchio dell’acqua, l’indecente /
gorgoglio della vita, mormorando / preghiere, quando tutto si distrugge / con
l’onda di parole menzoniere / che se ne vanno nel vento leggiere…” (Abissi);
“Dall’onda dei cieli infiniti / chiama discreto l’Angelo celeste / con gli occhi
lucenti nella grazia / del volo con trepidi inviti / a cancellare paure con la
veste / dell’incanto che abbraccia ma non strazia / il cuore che veleggia
trasognato / nel mondo di carezze trasportato.” (L’angelo). È una sorta
di poema epico, nella trama intricata di dame e cavalieri, calata in un ambito
domestico, in una proiezione parodistica: “Trasuda di pensieri luminescenti / il
paesaggio gremito di presenze / che ruotano nell’onda come venti / sussurranti
carezze per le assenze / della dama che con mosse prudenti / ricostruisce la
trama di valenze / consumate dal tempo nei dolenti / anfratti del suo cuore che
movenze / d’infinito reclama per l’amore / puro conservato come un fiore.” (Presenze).
La dialettica contrastata dell’amore si declina in variegate sfumature e
repentine inversioni di rotta: “Mi sta molto vicino la madama / morte con i
sorrisi con sollazzi, / poi tanti pianti, lei dice che m’ama / fingendo come
sempre dei lazzi, / per tenermi di presso la sua lama / della rinascita con
codazzi, / nel fuoco d’ardore e punizione / quando il vento cambia direzione.” (Stazione
di posta).
Il gioco letterario s’intesse con quello amoroso fino a
confondersi con esso e a non distinguere più tra realtà e finzione, nel potere
di trasfigurazione dell’ideale: “Un piccolo refuso per dispetto / è uscito di
senno, s’è confuso / con il mare e le stelle nell’oceano / dell’infinito, per
fortuna ad eccetto / del suo cuore bacato, che sta chiuso / in un punto segreto:
/ lì si creano / burrasche e tramontane di parole, / dove ognuno ci piazza ciò
che vuole.” (Il refuso). La retorica della mistificazione trascendente
cede il passo alla lucidità beffarda della chiaroveggenza intellettuale: “Che
dal cielo gli porti generoso / l’Angelo celeste un sorriso / che allevi le sue
pene ancor confida / un vago moscerino ardimentoso / nei sogni e nelle fughe
come inciso / tra le foglie l’ardore della sfida / che lo trattiene tra tenebre
e luce / quando nella notte il cuor si scuce.” (Speranza).
I versi di Mario Rondi spiccano per la raffinatezza estetica, la sapienza
metrica, la sagacia ironica che affrescano un microcosmo naturale, una sorta di
“piccolo mondo antico”, un bestiario vezzoso e allegorico da cui affiorano le
patetiche vicissitudini amorose celebrate dall’epos vivace che dalle
“sudate carte” di leopardiana memoria si rimpicciolisce, un po’ come Alice nel
paese delle meraviglie, nel “cartiglio” che insegue le bizze “del vento”, vale
a dire i capricci di quell’imperscrutabile e irrisolto – per dirla col Manzoni -
“guazzabuglio del cuore umano.”
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Recensione |
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