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Luminose memorie
Luminose
memorie
sono
vividi affreschi che si affacciano sull’arioso panorama dei giorni, nonostante
la sofferenza che è la stessa sorgente segreta che alimenta la linfa dell’anima,
sempre desta a nuovi sussulti e accensioni emotive: “Oh, le finestre del cuore!
| Respingono | folate di vento | vetrate balenanti | porte serrate | presenze
incorporee, | Si aprono | all’azzurro della mente | al colore sfumato | dei
fiori | alla storia | dei sogni. | Portano primavere | di vesti | sgargianti |
di risa | e feste di uccelli.” (Le finestre del cuore). È la freschezza
delle sensazioni che rinverdisce la scorza dell’essere, in una perenne
giovinezza dello spirito: “Pensieri e sentimenti fuggitivi | nel silenzio.
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Albeggia nella mente | la fragilità del vivere. | Groviglio di riflessioni |
galleggianti | come rottami | di un naufragio | cercano | i mille vocaboli |
allineati | nelle pagine del Creato.” (Riflessi). L’estasi della
contemplazione inebria di un gaudio ineffabile e incondizionato: “Ho visto
volando un gregge di nuvole: | docili, leggere, aeree, | seguivano la loro
rotta. | Si recavano tutte nella silente dimora: | un castello ovattato,
recintato | da bianche montagne eteree.” (In volo). Ugualmente il
connubio amoroso è la primavera della vita, che sboccia alla carezza di luce che
danza sulla soglia del mattino: “Inebriami | col tuo vino di baci | avvincimi
coi lacci | della tua dolcezza. | Non più la greve nebbia | a soffocare il mio
cuore. | Apri la porta | alla luce del mattino, | che mi risvegli perduta in te
| prigioniera delle tue | carezze. | A te devo la gioia | palpitante | il
respiro comune | di due che si amano.” (La gioia palpitante). Neanche la
morte può infrangere un legame indissolubile come quello siglato dal patto
nuziale: “È noto | ai miei bimbi | il racconto: | lingua, origine, | volto,
movenze… | Loro sanno | ogni piega | del viso, | parlano, | affrontano | i tuoi
dilemmi… | Essi sanno | di te, di noi | ogni ora; | apprendono | del nostro
amore: | l’indistruttibile essenza | nella dedizione | più vera…” (Il
racconto di te). Si raggiunge un’osmosi panica in una fusione di anime che
s’inseguono incessantemente nel respiro dell’eterno: “Ho tutti i tuoi calori,
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i miei pensieri sono tuoi, | tu sei | la mia anima, | selvaggiamente | avvinta e
unita | negli abissi | e nell’alto, | nei luoghi scoscesi | e nel celeste,
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ovunque | c’è spazio | e tempo | là dove | esiste | l’umano, | dove la gente
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ha finito | di soffrire | e chiama | l’eterno | nel vuoto | indistruttibile.” (Tu
sei la mia anima).
Il
sentimento religioso è pudico e delicato, ma non per questo meno intenso: “Potrò
mai venire, | o Signore, da Te | per un istante d’immenso, | o, volti altrove i
Tuoi occhi, | tanto distante sarai | per questa mia vita errante | per queste
tristezze indissolte | per questo cuore indurito e piagato?” (Giudizio).
È alle radici di un umanesimo profondo che contamina il divino con la sua ansia
di misericordia: “Per molti | del vivere | solo una festa | l’intera giornata:
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e corrono | impazzano | svaniscono. | Allora (nel dopo) | Tu | davvero li
chiamerai? | E saranno così | al cospetto | del Giusto? | Senza mai un pensiero
| al divino | in cui esisti, | in cui tutti esistiamo? | Eppure anch’essi
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supplicheranno | per sé, | reclameranno | urlando | un benevolo | giudizio, |
anche | per chi tradisce, | chi elude | il pastore, | chi beffeggia | la legge |
di salvezza | per l’uomo.” (Il premio gratuito). È un dialogo sofferto e
sincero con Dio, capace d’intravedere, di tra il nonsense del dolore,
l’alba di una speranza mai tramontata e di alimentare un furore vitale
inestinguibile: “Dammi una pausa. | È lungo | soffrire | per l’arco d’una vita.
| Vedere morire madre | marito | amici | e parenti | i più cari. | Quali colpe |
nel sangue | ho lavato? | (…) Rispetto | il volere, | mi piego. | Fuscello
| fra
tempeste, | puntellerò | più forte | le radici. | Combatterò | fino al respiro.
| Per me dunque | una lunga catarsi? | Forse più intensa e bruciante | perché |
fu la speranza | troppo indegna? | Ogni piaga | …purché il Tuo cospetto!” (Purché
il Tuo cospetto). È una fede improntata a toni teneri e confidenti: “Sommo
Creatore, | la Tua impronta | per tua volontà | sulla terra. (…) Grazie,
Signore. | Non so | quanto lunga | l’attesa. | Ma l’appuntamento | è con Te!” (Appuntamento
col cielo). Poter udire la voce del Padre celeste su questa terra è l’unica
ragione per cui valga la pena di vivere: “Vale agonizzare la vita | per udire
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dal cielo | la voce | di Dio | che ti parla | che ti accarezza l’anima | con
soffi vellutati | levigando i pensieri, | disincrespando | le pieghe di sangue,
| asciugando i sospiri. | (…) il corpo non avrà peso | risentendo la voce
| che
ti parla di Dio.” (La voce di Dio). La resurrezione di Cristo irrompe
come un grido nelle esistenze, ad investirle di un respiro d’assoluto: “Il
Cristo già risorge, | e proteso in avanti | chiama alla danza | i Suoi figli |
sino al giardino | dei giusti | là, nell’eterno.” (Il Cristo della strada del
sole). Struggente è questa invocazione alla Madre celeste, affinché sostenga
lo strazio di una donna devastata dall’“oltraggio | da un volto | familiare”:
“Ma dove, o madre divina, | dove soccorre qui | l’archetipo | del tuo pianto
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che seppe | soffrire e gioire | nel figlio | allo spasimo?” (Per atroce
inversione).
Vi è poi
lo spazio per meditazioni profonde svelate con semplicità disarmante e lucida
chiaroveggenza: “La libertà è mia; | vago coi miei pensieri, | soffro e gioisco
a piacimento, | reggo il timone della mia vita. | E sono sola, come tutti lo
sono. | Ognuno è solo pur se unito | o asservito agli altri. | Non permettere
che alcuno varchi | la barriera che s’alza | fra te e loro.” (Libertà).
Maria
Rosa Ugento, con la leggiadria dei suoi versi, canta la libera e gioiosa danza
dell’anima che si libra sopra l’abisso delle umane miserie e degli affannosi
travagli, eppure serbando intatto il suo vigore e inviolato il suo limpido
cielo, attraverso la suggestione di immagini dal notevole nitore espressivo.
L’effetto è impresso ancora più efficacemente grazie alle illustrazioni grafiche
dell’artista Vico Calabrò, in un armonioso sodalizio tra linguaggio verbale e
figurativo, per cui le parole arrivano dritte al cuore con la cristallina
trasparenza di uno specchio di mare in cui si riverbera la luce diafana del
sole: “Ho incontrato | il Sole | raggiante di luce, | col mantello | impestato
di gemme | e di brillanti, | la corona superba. | M’ha baciata, | leggero
| per
non accendermi | e asciugarmi | pari a candela liquefatta. | S’è posato, |
sfiorando | le mani, | su un giallo prato: | ha volteggiato | in brevi tenerezze
| senza sciuparmi. | Io mi chiedevo: | è proprio il Sole?” (Il sole).
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Recensione |
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