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Nei suk della storia
In questi
testi l’autrice sembra dar voce a quel nonsense che attanaglia il
modus vivendi e che lede la società alle fondamenta. In una visione
morbosamente pansessualista, che si ripiega sul feticismo organico e materico,
emerge uno smarrimento cosmico, lo sgomento di aver perso ogni orientamento e
saldo punto di riferimento per la propria esistenza, in un’avvilente
disintegrazione di ogni sano valore. Così, si è in balìa delle pulsioni
istintive, dell’orgia dei sensi e delle passioni, come se ci si
abbandonasse alla voluttà indomita dei flutti del mare. Un caos primordiale
imperversa, un disfacimento universale che distrugge l’integrità della persona,
il tessuto sociale e l’ecosistema del pianeta. La Storia, allora, che si declina
in questo libro parodisticamente a partire da A come America, è
come se autoimplodesse, senza più riconoscere una sua identità e si conferma
quale spettro dalle molteplici accezioni negative attribuitele nel corso dei
secoli: “cieche ruote dell’oriuolo”, come la tacciava il Foscolo, grottesco
“Grand Guignol”, secondo la definizione espressiva di Elsa Morante. In questo
caso ci si avvale di un’immagine suggestiva ed efficace che spicca nel titolo
stesso del libro: il suk, il mercato arabo, nella sua proverbiale
confusione e dinamica venale del vendere e comprare. Eppure da questa orda
materica insorge un’anti-spiritualità che suo malgrado si fa grido dell’anima
che risorge dalle sue stesse ceneri: “L’icona dell’angoscia si consuma / dov’è
il Padre? / Le nostre mani scolpiranno / ancora / l’involucro di un nome.”
Allora affiora l’essenza umana nella sua autentica nudità: “Ci domandiamo chi è
più nomade / colui che vaga nello spazio / o colui che migra nel tempo? / La
terra è nuda / e l’uomo / non può essere altro che uomo.”
L’ultima
sezione, Il canto di Giuda, impersona il dramma di colui che è passato
alla storia come traditore, che sembra essere la figura più atta a rappresentare
questo tempo (“manichino alchemico, nato…ancora…Moderno”) che ha tradito la
fede, gli ideali, la propria natura e identità, nonché le nuove generazioni,
consegnando loro un mondo confuso e corrotto, che naufraga nell’ottenebramento e
nella disperazione: “Io Giuda Iscariota…Sarò un passante di una realtà muta. Il
mio recapito…? In quale anno, storia…(…)Rotaie, sibili, bestemmie, il sordido
rumore della città. Oggi come ieri il popolo passa da un giorno all’altro.” (Giuda).
Ci s’immedesima nel suo ruolo ingrato, provando a mettersi dalla parte del
maledetto, come uno sventurato che abbia subìto un’irrevocabile predestinazione:
“Lui? Burattino mortale! Nell’alchimia dei secoli respiro su respiro era
inscritto il tradimento: cerimonia che le parole strisciano. L’odiammo perché
ammalato di un’esistenza muta. Odiare per amare fu il suo peccato.” (Voce
fuori campo); “Di me si sono serviti e si servono per costituire fraternità
e tirannie, per celebrare e perseguitare, ma la mia oscurità attende il tempo in
cui il male non sarà più necessario. Ciò che sentii nel vivere fu l’umana
avventura di uno strumento a fiato.” (Giuda). Interessante è questa sorta
di processo che Giuda intenta a se stesso, tra accuse e difese, in una dinamica
teatrale, ove trovano posto considerazioni esistenziali: “La morte non è
inesorabile per tutti…per qualcuno è tentazione!”
Infine,
affiorano tutta l’angoscia e il rimorso come da un nero pozzo senza fondo: “Il
buio copre il volto…dov’è il Padre? C’è chi ti schernisce ancora, perfino i due
crocefissi ai lati sono ancora uomini. I tuoi occhi sono chiusi…ma respiri
ancora…non ha pietà l’Eterno! Le mie mani scolpiranno la tua voce, la mia…Sento
il tuo urlo…corro verso la mia disperazione. O Eterno, io grido a te da luoghi
profondi. Signore non ascoltare la mia voce. Era scritto FRATELLO! Dove
giacquero gli altri?”
Maria Gloria Grifoni
in questa sua scrittura così magmatica, attraverso una protesta e un
rivendicazione dal sapore sessantottesco che sfocia in un’irrazionalità sfrenata
che rasenta il delirio, interpreta, pure con una sua logica, il malessere
esistenziale ed epocale in un grido interiore che trova eco nel personaggio di
Giuda che meglio rappresenta questo tempo che ha venduto Cristo all’idolatria
del consumismo e dell’edonismo senza più pudore, che ha sfigurato nella menzogna
l’identità umana creata ad immagine e somiglianza di Dio, tradendo l’originario
disegno d’Amore dell’Altissimo.
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Recensione |
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