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Pionieri a San Domenico
Questo minuto corpus poetico è un vezzoso omaggio ad un luogo caro
dell’anima, la parrocchia di San Domenico nel quartiere in Selvazzano, nella
suggestiva cornice dei Coli Euganei. Si ricamano i silenzi di teneri ricordi e
vagheggiamenti lirici, nell’età d’oro dell’infanzia: “E fu lontano lontano / nel
sentiero dei pini marittimi / un’età felice / allora che pionieri conquistammo /
la terra vergine di San Domenico / nel verde abbraccio dei miei colli / accesa
da vermigli tramonti/ risvegliata da albe pure, / manifesti inviati dal cielo
alle nostre finestre / limpidi osservatori di tutto il creato.” Rivive quella
stagione felice in delicate rêveries sospese lungo la scia nostalgica
della memoria: “Fummo allora leggeri / in quell’immacolato spazio-tempo / così
felici / da succhiare l’attimo fino in fondo / ma forse ignari di tanta
felicità. / L’aria profumava di buono, / la strada incontaminata ancora /
squillante di goal fanciulli / s’apriva a raggiera fra le vigne / in
passeggiata infinita. / (…)
Era l’età d’immensi silenzi vergini / nelle sere
estive musicate dalla magia dei grilli / con il canto solitario alla luna /
della rana fra il domestico canneto.” Tuttavia, poi, all’improvviso,
l’incantesimo s’infrange, nel lutto inestinguibile del dolore: “Ma poi venne il
tempo altro / dei bradisismi terremoti fisici psicologici / quando la paura
prese corpo, diventò / la croce-compagna d’ogni uomo / nella strettoia del
dolore. / E fu l’età del rosario di lacrime / del compianto nella casa del
Signore / per giovani padri, madri / anzitempo rapiti alla loro quotidiana
storia / e lì elevati all’Eterno. / Si spense d’improvviso l’età innocente, /
svaporò quel senso cosmico d’infinito / respiro interiore illimitato / garante
in noi quasi d’immortalità / come allora nel prato degli aquiloni / leggeri in
volo a sforare il cielo.” Eppure, successivamente, torna a splendere la
primavera della resurrezione, nella meraviglia estatica della palingenesi: “E
poi fu l’età felice del canto / dell’amore giovane dai nidi di primavera / che
apriva arditi voli oltre le domestiche siepi / dilatato il bel quartiere in
orizzonti infiniti / di sogni speranze attese - / l’età dei papiri, di corone
d’alloro e bacche lucenti / degli sponsali tardi, secondo i tempi / consacrati
come comanda Dio. / Questo andare al ritmo del Creato / era per noi
dono-rinnovo di vita / nuova minuta risurrezione, / era sconfinare il nostro
tempo dell’attesa / in distese di turgide vigne / promessa-meraviglia di
grappoli d’oro. / Era il Sacro che perdurava / archetipo-radice del nostro
vivere / ai primordi nel mitico quartiere / in orizzonti infiniti / di sogni
speranze attese - / l’età dei papiri, di corone d’alloro e bacche lucenti /
degli sponsali tardi, secondo i tempi / consacrati come comanda Dio. / Questo
andare al ritmo del Creato / era per noi dono-rinnovo di vita / nuova minuta
risurrezione, / era sconfinare il nostro tempo dell’attesa / in distese di
turgide vigne / promessa-meraviglia di grappoli d’oro. / Era il Sacro che
perdurava / archetipo-radice del nostro vivere / ai primordi nel mitico
quartiere / spazio d’umana formazione.”
Maria Luisa Daniele Toffanin con la consueta melodia armoniosa dei versi e la
soavità dei sentimenti anche in questi testi ci dona un raffinato intarsio della
sua pregiata arte di poetessa che sa cogliere la bellezza come una gemma rara
incastonata in ogni prezioso istante della vita.
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Recensione |
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