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Poesie controcorrente e racconti in versi
Questi versi sono improntati ad una disincantata ed irriverente ironia, ritratti
fugaci della realtà estrapolati dalla banalità del quotidiano, non trasfigurata
dall’idealizzazione o dall’apoteosi mitica, “controcorrente”, appunto. Scrive
incisivamente Paolo Ruffilli nella prefazione: “La poesia di Fabio Dainotti vive
nell’ottica della rassegna dei dati autobiografici, del loro incrocio e delle
loro combinazioni, in una sorta di quaderno degli appunti, delle notazioni
maggiori e minori, dei frammenti di ricordo, degli stati rimossi e delle
sensazioni, in un insieme che ricompone nella sua corrente lirica il senso di
una vita che sembra procedere fuori da ogni possibile piano di organizzazione e
di sistemazione, eppure dietro a un impulso superiore riconducibile a quello
che chiamiamo libero arbitrio. (…)
Il poeta è il testimone in viaggio della
vita, anche se il viaggio è un pretesto a posteriori e le sue tappe confinano
con le contrade oscure delle tenebre e con la morte, termine ineludibile
tuttavia alluso e fissato con lucidità e perfino ironia.” Sono brani di vita
sottratti da treni in corsa, da viandanti di passaggio che s’intersecano con lo
sguardo attento e lungimirante dello scrittore, che sa cogliere aspetti
reconditi che la poesia spudoratamente svela, “in un vorticoso bestiario di
esempi quotidiani e personali, di memorie e di ricordi.” Sono melodie che si
compongono sull’onda tumultuosa dei sentimenti e della voluttà sensuale: “Suono
sulla tastiera del tuo corpo / le musiche più belle e più dolenti, /
malinconiche, ardenti, / prima e dopo l’amore.” (La tastiera, o Del trionfo
dell’amore).
Sono visioni limpide e immediate come schizzi della prima
impressione, in un viscerale guizzo infantile: “C’è una chiesa laggiù, ci si
arriva / da un vicolo in discesa, che costeggia / un giardino alberato con le
aiuole. / C’è uno zampillo chiaro nel giardino, / che canta una sua canzoncina,
/ di sole quattro note, / ma vorrei ascoltarla sempre, sempre. / È l’acqua
primordiale della nascita, / che ti culla e ti invita ad annullarti, / come una
macchia, nella nuda terra.” (Una chiesa laggiù). Sono miniature di
racconti di vita, dagli spaccati movimentati e vivaci: “Fischiavi e il cavallo
arrivava. / Montavi senza sella e anche così / riuscivi a fargli fare tutto /
quello che avevi visto nei film western. / Quando morì la cavallina / che stava
ancora sulle zampe incerta / (la madre rifiutava di allattarla), / conservasti
una ciocca dei suoi peli / in un medaglione, sul petto.”
Fabio Dainotti con i suoi testi ci offre un’angolazione originale da cui
scrutare la realtà, “nella convinzione che la poesia dicendo il meno possibile è
in grado di leggere sorprendentemente nelle pieghe del silenzio.”
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Recensione |
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