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Sotto il peso leggiadro dell'andare

Questi versi si modellano “sotto il peso leggiadro dell'andare”, appunto, sulla scia dei sentimenti e delle emozioni che si avvicendano in controluce alla trama dell’esistenza. Tra un vissuto e l'altro s'incastonano i ciottoli dei ricordi levigati dalle acque, che si depositano come perle rare lungo gli argini delle attese, incessantemente rivoltolati da questo fiume carsico che scava l'animo, di là dalle derive del silenzio: “Lago di sponda bassa questo amore. / Senza emissari. Acqua viva di falda / spinta su, sotto pressione, dal cuore / della terra. Là dove un fuoco scalda / ancora l'imponderabile umore / del tempo che addolcisce sega e salda / la cresta delle onde. Il grande vigore / che strapiombi di conflitti sfalda / si allunga in una superficie tesa, / eppure ancora tutta pensierosa / della pietra che colpisce a sorpresa / e che rimbalza. Che regge indifesa / e consolata la scia luminosa / dei germani. La foglia che si è arresa.” (Tempo d'amore).

Gli slanci interiori nidificano lungo le anse della memoria, sospesi nell'indefinito, come vaghe chimere fluttuanti nella notte: “Quella volta del pensiero incompiuto, / della disattenzione. Quella volta / che si è lasciata andare nell'imbuto / dei giorni l’occasione di una svolta / per considerare quanto accaduto. / Quell'invito non capito. Raccolta / di uno slancio che è poi rimasto muto. / Quella dolcezza che non venne accolta. / Arrivano di notte quei momenti. E li si aspetta come commedianti / accomodati sopra vecchi allori. / Ritornano col buio, irriverenti: / e indugiano fedeli lì davanti / come segugi con la lingua fuori.” (Momenti).

L'essenziale si coglie sopra la rovina delle proprie illusioni, là dove resta unicamente la sostanza del vivere: “Lasciare solamente poche cose. / Liberarsi di tutti quegli oggetti, / come per valutare degli affetti la tenacia, oltre le loro sinuose / evocazioni. Pochissime cose, / che rimandino a momenti ristretti. / Distillati come caffè o cicchetti: / amari, o con sentori di succose / bacche. Quello che non è importante, via. / Trattenere solo ciò che è essenziale: / quel retrogusto che resta come scia / di vissuto che può anche darsi che sia / percepibile nell'ora cruciale. / Che si sente quando si fa poesia.” (Retrogusto). Le sfumature delle impressioni scandiscono i giorni che cigolano sulla sospensione del tempo: “Si apre la porta della casa al primo / grigio della stagione, che gira oltre / il margine del fiume. Sul suo limo / quasi d’argento e di seta una coltre. / L'abbacinante calura, che fino / a ieri incombeva, a un tratto svanita oltre / i margini. Dell'andare e comprendere / ha talento. Viene su in gola, viva, / la parola che è propria di ogni tendere. / Per la guardinga gioia del propendere, / per quel lasciarsi andare dove si va, / al di là dell'intenzione, a prescindere.” (Cambio di stagione).

Il cambiamento a volte s'impone con la fulminea violenza di un colpo di fucile attutito da un'atmosfera trasognata: “È stato, o non è stato, quel momento. / O forse un sogno lo ha trascinato. / C'era o non c'era quel suggerimento, / dov'era e come mai vien ricordato. / E cosa dire poi del cambiamento / del solito scenario ultra-scontato: / in un baleno senza più cemento, / che è venuto giù. / Precipitato / nell'abisso delle coincidenze / accessorie e fortuite. Senza peso, / ormai sciolto da tutte le attinenze, / scaduto dopo tutte le scadenze. / Rifiutato come fosse un reso. / A un chiodo appeso dalle troppe assenze.” (Metamorfosi). L’esistenza può essere relegata ai margini, i confini sottesi dall'una all'altra sponda, “tra dentro e fuori”: “Un esistere che non ha accesso / al dire. Accantonato. Laterale. / Rifugio reticente. Personale. / Nel quale siamo noi. Dentro un recesso. / Uno scarto del procedere, un nesso / sotto-inteso ad ogni gesto casuale. Ed è ogni sguardo appena diagonale, / che ci rivela come anche del gesso / abbiamo usato per tenerci insieme / sotto il peso leggiadro dell’andare / oltre. Tra qui e là, tra dentro e fuori / quando una nuova aspettativa preme; che è un domandarsi, un perseverare. / In questo andar per tentativi e errori.” (Tra dentro e fuori).

Al principio di ogni umana vicissitudine c'è un sogno che invade lo spazio della realtà: “In origine un racconto. Teneva / un fiore tra le labbra. Un indistinto / orizzonte oltre il presente correva / al limite di un cosmo variopinto. / Anche questo esile, per farci leva. / Per diventare un pennino intinto / nell'inchiostro del cielo che poteva / svirgolare l'inaudito recinto. / Esistere è un segreto che si paga / a modo proprio. Un marengo ottenuto / per un gesto che ignora ogni riguardo. / Un pensarsi fuori gioco un miliardo / di volte, quando sventato uno sputo / giunge da un'allusività presaga.” (Racconto). Dall'intricata trama della propria avventura esistenziale si serba comunque la linfa vitale dell’innocenza: “Non è così: non me la dite giusta: / non c'è un colpevole. Ma un innocente / sì. Eccovi lì. Con la solita busta / di sorrisi, che pur candidamente / sfrigola come guscio di locusta / nel volo predatore effervescente. / Col chiacchiericcio di quando si gusta / dire di tutto ripetutamente, / propizio all'allegria dell’indulgenza / del vivi e lascia vivere; del muori / anche, se vuoi. Ogni varia desinenza / declinata e ascoltata sempre senza / intromissione. Miti animatori / disanimati dell’equivalenza.” (Aria del tempo 2).

A suggellare le diverse stagioni della vita che la poetessa Marina Rezzonico affresca nei suoi versi, avvalendosi anche dell'immediatezza espressiva delle immagini attraverso suggestivi scorci degli scatti fotografici che corredano i testi, è Novembre, con il suo languore decadente, crepuscolare, come un malinconico finale, a presagire la morte che è l'estremo limite dell’esistenza terrena: “Sembra marzo, col suono del tamburo / che crepa le pozzanghere di gelo / crestato, che resiste sotto il muro / mentre trasuda l'ora del disgelo. / Sembra, ma non c’è niente di sicuro / al di là del davanzale. Del melo, / del pero, oggi, c'è lo strepito duro. / E un carnevale di foglie in cielo: / foglie secche in un giro di bolero, / all’improvviso in scena, sulle macchie / dei fiori di novembre al cimitero. / Coriandoli di un tempo forestiero / che il vento fa volare via da sacchi / laceri. Come pula di pensiero.”

Recensione
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