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Voci dall’ombra

Voci dall’ombra sono versi in limine, un entrare in piedi sulla soglia dell’ombra che lambisce la luce, di cui è come il riverbero più accessibile e allo stesso tempo di notevole suggestione (“Più che la luce mi seduce l’ombra”, citazione di Silvio Rafo, ad epigrafe di Luce). Le contingenze della vita stessa, secondo la definizione di S. Paolo, “sono ombra delle future” (Col 2,17), un riflesso dello splendore e dell’amore divini: “Come il naufrago allo scoglio, / come il montanaro alla roccia, / come il partente al paesaggio che sfuma. / Aggràppati alla vita. / Senza che il tuo pensiero sfiori la fine, / senza che la tristezza spenga il sorriso, / senza che la tua voce esprima il dolore. (…) Ricorda la tua felicità / e sappi che, qualcuno, / con te è stato felice.” (Aggràppati alla vita). La bellezza è un miraggio sfolgorante di cui si teme la potente seduzione: “Ti temo bellezza, come l’abisso. / Temo la tua vertigine. / Ti sfuggo e stringo ombre / fra le dita. / Mentre il sole allo zenit / è un miraggio nascosto.” (Bellezza). I sogni, “infinita ombra del vero”, secondo la chiaroveggente definizione del Pascoli, sono gli unici a non tramontare oltre l’orizzonte dei giorni: “Di polvere ci copriremo. / Verso l’oblio i nostri passi / ci condurranno. / I nostri sogni rimarranno.” (Certezza). Anche le persone amate sono come ombre che passano e che da noi si congedano: “Ti lascerò andare / e non più vita / avrò fra le mani. / Ti lascerò andare / ove il tempo è infinito, / ove il ricordo non ha rimpianti. / Ti lascerò andare / nell’impalpabile regno della luce. / La tua presenza si dissolverà / nello spazio a me rimasto per riviverti.” (Commiato).

Incisiva è questa allegoria di Destini, in cui s’allunga l’ombra sul cammino dell’uomo, mentre attende che su di lui si schiuda il cielo: “I dolori, / fardelli invisibili, / oscurano il nostro cammino / e noi, ammalati d’ombre, / il capo mai alziamo / verso l’azzurro. / Eppure / ognuno di noi ha uno spazio / di cielo che l’attende. / Ma noi ce ne stiamo lì, / con le ortiche nell’anima / e le mani colme di freddo / a barare col tempo. / (…) E inganna il nostro sole / che rende le ombre sempre più cupe / e il cielo sempre più irraggiungibile. / (…) Finché il cielo si riempirà d’azzurro, / un giorno, / finalmente solo per noi.” (Destini). La sublime melodia che sottentra all’universale armonia e che l’artista è in grado di assaporare è quell’arioso respiro che solleva dall’umana miseria, che inebria e trasfigura dell’estasi divina (secondo la citazione di Beethoven: “La musica è una rivelazione / più profonda di ogni saggezza. / Chi penetra il senso della Musica / potrà librarsi da tutte le miserie in cui / si trascinano gli altri uomini.”): “Sale la melodia. / Dà armonia al dolore, / alla gioia spessore. / Azzurra, oscura / l’anima si porta via. / Consola, blandisce, / sfinisce. / È un soffio di vento / che tutto rapisce / e, in se stesso, / svanisce.” (Musica). Le parole ricamano il vuoto esistenziale: “Le parole / colmano i deserti / delle nostre solitudini. / S’alzano, luminose, / nel cielo della vita / e ricadono / nella polvere dell’oblìo.”

Il nostro passaggio lascia una scia di luce come stelle comete nel buio fitto delle tenebre: “Siamo come comete / nel cielo / dei nostri incontri. / Scie luminose / fugaci di sorrisi. / E lacrime, / stelle cadenti / che lasciano promesse / e svaniscono nel buio / guardando al perduto spazio.”

Nella poesia Voci dall’ombra che dà il titolo all’intera raccolta si svela il leitmotiv che percorre tutti i testi, vale a dire l’ombra come identità ontologica dello stesso essere umano: “Raggiungerti non posso, / distante è il mio ricordo. / Ombre siamo, / solo ombre che il tempo / conduce in strade / che mai si ripercorrono. / E sfocano nell’oblio del silenzio.” (Voci dall’ombra). Interessante è anche questa metafora della condizione esistenziale: “Come uccelli in attesa / sostiamo sul filo teso della vita. / Pronti a spiccare il volo / per chissà dove. / Immutabili / le ore e i giorni / scorrono davanti a noi. / Disorientano / la luce, il buio. / Finché / più nulla prevediamo / più nulla attendiamo. / Solo il tedio / che incolla le ali / e rende tutti gli istanti tutti uguali.” (Come uccelli). Suggestivo è questo ritratto di gabbiano nella fierezza indomita e nell’ebbrezza selvaggia della sua libertà di contro al disagio e all’alienazione esistenziale del celebre prototipo baudelairiano : “Tu sfidi il vento e / la brezza di mare. / L’onda furente e / la calma glaciale. / La luce accecante, / l’ombra calante. / L’ampio tuo volo / non so decifrare, / né dove ti porti, / al buio, a riposare. / Ma quando ti vedo / nell’aria sfrecciare / davvero il cielo / lo posso toccare. / Sei come l’abisso / allo sguardo tu sfuggi. / Ma con il tuo grido / perfori il pensiero. / Gabbiano selvaggio, / segreto ed altero, / la vita tua aspra / non sveli davvero.” (Gabbiano). Il dolore diventa gigantesco nelle desolate lande della solitudine: “Il piccolo nel deserto / un gigante si sente. / Il bisbiglio grida / se il silenzio rompe. / Così è il dolore che pulsa / nelle stanze vuote dell’anima.” (Equivalenze); “Pesanti cadono le ore / nel lago della solitudine. / Si materializzano, / ingombranti presenze.” (Giornata). Esso è alimentato dallo strazio del ricordo di ciò che è stato e mai più tornerà: “Il ricordo fa male. / Brucia come fuoco, / taglia come il coltello, / punge come la spina. / (…) Getta sale sulla ferita, / l’occhio abbaglia di luce impossibile. / Il ricordo la gola ti stringe / e di lacrime mai piante / annega il tuo sguardo.” (Il ricordo fa male); “La ruvida carezza / del ricordo / fa tremare / il nostro cuore. / E lacrime nascoste / nell’alveo dell’anima / scendono. / Si soffre, là, / dove c’è stato amore.” (Ricordo).

Un progressivo annichilimento rischia di divorare mente, cuore e l’esistenza stessa: “E verrà il tempo in cui il silenzio / invaderà ogni parola. / E sarà il frastuono del niente / a tormentare l’orecchio / e l’anima. / E verrà il tempo in cui l’oblio / invaderà il ricordo. / E sarà la vertigine del nulla / a straziare la mente / e il cuore.” (Metamorfosi). È l’impietosa rapina del tempo che tutto trascina al suo passaggio - nella sua corrente rovinosa -, oggetti, luoghi, volti amati: “Si frantumano i ricordi, / impalpabile cenere / fra le dita. / Volano via / invisibili / al vento freddo dell’oblìo. / Sfuggono alla mano annerita. / V’è silenzio / ove le voci prima risuonavano. / Tutto passa, / è la vita.” (Tracce di vita). Un’amara tristezza assale quando ammutoliscono gli echi di risa chiare che un tempo empivano le stanze ormai desolate e vuote, là ove sono dileguate le presenze dilette: “Trascorre il tempo / e là si ferma / ove i cancelli si chiudono. / Trascorre il tempo / e là si ferma / ove il pianto annega la speranza. / Ove una voce / più non risponde. / (…) Ove lapidi bianche / s’ergono al cielo.” (Trascorre il tempo); “Ti accosti piano, / le mani protese, / ora vuote, ora prese / la mente a scavare. / Compagna tu sei delle ore più amare. / (…) Tristezza m’uccidi, / io voglio scordare.” (Tristezza). Il tempo sfugge continuamente e non è che una mera illusione credere di trattenerlo raccontando ciò che ha attraversato i nostri giorni, come miraggi in uno sterminato deserto: “Muore il tempo / e noi, al suo capezzale, / raccontiamo storie / che non sono le nostre. / E crediamo, / crediamo d’averle vissute. / Ultimo lembo / d’una tenda lacerata / che ci sostiene.” (Muore il tempo). La vita è come un mosaico le cui tessere devono necessariamente coincidere per poter comporre l’armonia, ma la furia delle intemperie delle vicissitudini avverse finisce per scompigliare e gettare tutto in un caos sconvolgente, alterando il disegno originario: “Mosaico di vita / dai tasselli impazziti. / Scomposti, indecifrabili / dai contorni sgualciti. / Più non c’è / la mano fanciulla / che ti compose piano, / con il sorriso chiaro / nel cielo forte-azzurro. / Il vento del vissuto / ha tutto eroso, ormai, / la traccia tua ha confusa. / Non resta che guardarti, / con tanta nostalgia, / per l’ordine perduto.” (Mosaico di vita).

Un capolavoro di espressività e di raffinata interpretazione del mondo interiore di uno straordinario artista come Vincent Van Gogh è Gestazione del dolore: “Colore, dolore, / sulla tela le ombre / e la ricerca del sole. / Nell’anima la voglia di andare. / Sulla tela la forza dell’umanità, / affaticata, ferita, rassegnata. / Nell’anima la voglia di cercare. / Sulla tela i campi bruciati dal sole, / gli spazi luminosi del sud, il sudore. / Nell’anima la voglia di gridare. / Sulla tela le forme che scavano dentro, / che graffiano l’ansia e la delusione. / Nell’anima il tormento / e i paesaggi soffrono la potenza, / il turbamento. / (…) Sulla tela il rancore / e il bisogno d’amore. / Nell’anima la voglia di lasciare. / Un colpo nell’aria… / la campagna è assolata, / la vita è già sfumata. / Trafitta è la quiete, / esplosa è la genialità / in schegge impazzite di dolore, / in schegge impazzite di colore. / L’Arte non muore.”

È una poesia, quella di Valeria Massari, che scaturisce dal rimpianto della fine che incombe su tutte le cose e sulla vita stessa, “lo strappo a mani tese dai miei cari”, per dirla con Luzi: “ “Così la vita si chiuderà / quando niente avrà più da dire. / Col rimpianto di non esserci / e di non esserci stati abbastanza.” (Il giorno si chiude); “Verrà il tempo, / E il silenzio / la voce sostituirà. / L’ombra / colmerà l’assenza. / Il vuoto / ricordi invocherà. / Verrà il tempo. / E lo sguardo / altri occhi coglierà. / L’orizzonte / non avrà più promesse. / (…) E cenere spargeremo. / E noi, / più noi non saremo.” (Verrà il tempo).

Recensione
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