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Giorgina Busca Gernetti dice a Giovanni Pascoli
Ho sempre
ravvisata in te, leggendo le tue poesie in tanti anni di studio e
d’insegnamento, la mia stessa esperienza del dolore fin dall’infanzia, poiché la
tragica morte del padre ha avvolta in un’ombra perenne la nostra vita. Il dolore
(quasi una legge universale di dolore e di morte) è uno dei temi precipui dei
tuoi versi e la Poesia è il tuo amore più profondo, una lampada ch’arda
per illuminare la pallida via della vita. Del famoso scritto Il
fanciullino richiamo solo il tuo saper scoprire le arcane corrispondenze, il
pianto e il linguaggio segreto delle piccole cose che divengono simbolo
della realtà misteriosa e rivelazione dell’ignoto oltre le apparenze. Di qui le
tue immagini immediate come folgorazioni improvvise, le espressioni frante eppur
musicali, cui la potenza allusiva del tuo linguaggio, tramato di metafore,
analogie, sinestesie e fonosimbolismi, dona quasi il potere di riprodurre
l’arcana voce dell’universo. Condivido la tua inquietudine ed angoscia, il
rimpianto, il costante pensiero della morte a cui opponi il fascinoso potere
della memoria che ti restituisce ciò che ormai è lontano o perduto: l’infanzia,
la tua Romagna solatìa, il volto e la voce di coloro ch’amano ed amo,
creando una presenza quasi percettibile dei tuoi morti accanto a te, nel tuo
nido sicuro.
Breve
introduzione all’inserto di poesie pascoliane gemellate a composizioni poetiche
dell'autrice, in: Un secolo in un anno, antologia a cura di Sandro
Gros-Pietro, Genesi Editrice, Torino 2005.
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