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«Mistica Luce. Anima dell’universo, la luce. Cara a fisici, mistici, teologi,
cineasti. A poeti: Dante […], Petrarca […], via via sino a Pound […], sino a
Luzi […]. Signum Dei, la luce. Alla Luce offro questo libro e gli altri che
verranno. Se verranno. Se riuscirò a scriverli».
Con queste efficaci parole e con la citazione di versi tutti protesi alla Luce,
qui tralasciati per brevità, il grande critico e scrittore Emerico Giachery
sigilla la sua autobiografia dal titolo Voci del tempo ritrovato, arricchita di belle fotografie dalla sua felice infanzia fino al
tempo attuale, insieme all’amata moglie Noemi spesso all’Isola d’Elba.
Iniziare dalle parole finali del libro consente a chi scrive di evidenziare
subito l’impressione che tutte le pagine suscitano in chi legge: una grande
serenità di spirito, una luce interiore che si riverbera su ogni evento della
lunga vita narrata da Giachery per illuminazioni memoriali, «fotogrammi di
vissuto» alla ricerca di un tempo “perduto” perché ormai trascorso, ma
“ritrovato” dalla memoria capace di far rivivere ciò che ha plasmato il suo
animo nel culto della Bellezza e della Poesia, di cui è finissimo esegeta.
Scorrono nelle pagine di nitida ed elegante scrittura la felice infanzia,
«l’inquieta e fermentante adolescenza», quindi la giovinezza luminosa
arricchita, nel liceo, dalla lettura affascinante della poesia sentita «come
condizione dell’anima». Segue l’iscrizione alla Facoltà di Lettere che apporta
al giovane bramoso di cultura e di poesia esperienze indimenticabili, di cui è
evidente il rimpianto. Insegnava letteratura moderna e contemporanea Giuseppe
Ungaretti, le cui lezioni «spesso dedicate a scavare in testi di Leopardi»
attiravano una folla di studenti, letterati e «signore intellettuali». Era
possibile seguire con entusiasmo le splendide lezioni del grande critico Luigi
Russo e cenare con lui in qualche tipica trattoria di Trastevere in un clima di
rispettosa amicizia, quasi di familiarità.
Sullo
sfondo di questa “educazione sentimentale”, nutrita di classici italiani e
stranieri d’ogni epoca, si svolge l’oscura stagione storica del Fascismo e della
guerra. Ma come una luce nel buio provocato dalla follia umana appaiono quasi in
soccorso delle «anime sbigottite» le opere poetiche di Ungaretti, Montale,
Quasimodo pubblicate negli Anni Trenta e le loro nuove opere attese con ansia
durante e dopo la guerra, come voci radicalmente trasformate dal dolore pubblico
o privato di quegli anni, quindi consone allo stato d’animo dei lettori.
Tra i sei
capitoli, tutti di grande interesse, forse il primo (Un ottantenne ricorda,
racconta) è uno dei più avvincenti, insieme con i due rispettivamente su
Roma e su Firenze, città legate l’una agli antichi miti del Lazio e
all’archeologia, entrambe all’arte, alla poesia e a due “voci” moderne di
grandissima levatura: Giuseppe Ungaretti la prima e Mario Luzi la seconda. Il
loro fascino sta nell’unione magistrale di vissuto e letteratura, nel senso che
Giachery descrive gli studi appassionati, gli incontri con i grandi della
critica o le belle studentesse, le vestigia archeologiche o le bellezze
artistiche e naturali con la stessa gioia di vivere, di apprendere, di elevarsi
spiritualmente, di contemplare la Bellezza e la Poesia ovunque si trovino.
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Recensione |
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