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Scrittore, giornalista e collaboratore del “Corriere di
Chieri”, Riccardo Marchina è autore di racconti e romanzi, fra cui il volume
Bricandera (2007), nonché autore di numerose inchieste fra cui Allah
e i Pokemon sui figli degli stranieri residenti nell’area metropolitana
di Torino. Fra i molti riconoscimenti conseguiti, spicca il “Premio Superga
della Città di Torino 2008” per il racconto Il Premio.
La Piazza della zingara, che dà il titolo al libro, è
localizzata a Torino, città dov’è nato l’autore, ed ha reminiscenze giovanili di
quando abitava alla periferia sud, a pochi isolati da piazza Galimberti dove
spesso si incontravano nomadi e senza dimora, gli zingari: e appunto per questo
lui l’aveva battezzata “Piazza della zingara”.
Il libro di Riccardo Marchina è una vera e propria “ricerca”
approfondita sulle identità storiche, sugli usi, sui costumi e sulle tradizioni
del mondo ROM. L’autore ha voluto trasporre in romanzo vicende e vita di questa
comunità che, nell’immaginario collettivo, il più delle volte viene considerata
e posta ai margini della società cosiddetta civile. Ma se leggiamo e
interpretiamo a fondo la prosa di Marchina, una prosa semplice, immediata ma
estremamente efficace e incisiva nonché ricca di richiami etnici, storici e
geografici, scopriamo in essa uno stupefacente spaccato di un universo da molti
ignorato.
Il romanzo racconta, su livelli diversi, la storia di due donne
ROM: un impianto letterario con una struttura che pur agendo in parallelo si
svolge nell’ambito di due realtà inizialmente differenti. L’una ha per
protagonisti due giovani che si incontrano casualmente, una zingara e uno
studente: due vite che partendo da luoghi e realtà dissimili si trovano a
compiere insieme lo stesso cammino, quello della perfetta integrazione di entità
e mentalità diverse. L’altra è una costante e quasi affannosa ricerca di
identità di una donna ROM attraverso le fonti del suo mondo e delle sue
tradizioni, a partire dal remember di un lontano passato nel richiamo di
tradizioni e di consuetudini di quella gente, come il “messaggio” delle
Ursitory, le fate zingare (ma anche chiamate angeli, streghe o megere) che
prediligono e “orientano” il destino del neonato.
Non riveleremo il
finale delle storie che si intersecano e si concludono, come si fa per il più
classico dei gialli, perché anche se il romanzo di Marchina non appartiene a
questo genere, nello sviluppo il contenuto appare spesso pregno di quell’alone
di mistero e del possibile verificarsi di un evento imprevisto che può
accadere. Piuttosto, diremo che questa “ricerca romanzata” si colloca
nell’ambito letterario (fra i pochi del genere) come un messaggio di pace, di
comprensione e di integrazione tra costumi e tradizioni diverse. In sostanza,
questo lungo racconto si potrebbe identificare come “Una favola moderna
contro ogni pregiudizio”.
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Recensione |
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