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Ubi Mytistraton fuit, Mistretta manet

la doppia denominazione giustificata dall’uguale significato mitologico

Animati dallo spirito della ricerca, con la pubblicazione della prestigiosa monografia Ubi Mytistraton fuit, Mistretta manet, Filippo Giordano, Mariano Bascì ed Enzo Mancuso hanno riacceso la fiammella della curiosità con l’intento di restituire con rigore scientifico ad una comunità le proprie origini.

Lo studio molto approfondito che costituisce la ripresa di contatto con un territorio archeologicamente poco conosciuto, continua il cammino editoriale già intrapreso con successo molti anni fa. Gli autori che hanno dimostrato l’unicità di ubicazione di Mytistraton e Amestratus con Mistretta, hanno consultato testi, riviste, articoli, rispolverando materiali archivistici al fine di ottenere una raccolta di notizie intorno alla originaria città fenicia (Mut – Ashtart e Met – Ashtart) alla quale i Greci non avevano tolto l’identità, ma si erano limitati ad un adattamento del nome primitivo: Mytistraton e Amistraton. Il sito nelle vicinanze di Apollonia, Calacte, Alesa ed Erbita, chiamato da Filisto e Tucidide “fortezza della Sicilia” e da Polibio “vetustissimo castello” su un colle alto e ripido era stretto alla sua acropoli da un’alta e robusta cinta di mura, fatta costruire dai Cartaginesi.

Gli autori con le loro argomentazioni persuasive e spiegabilissime mediante la logica, offrendo un atto d’amore alla propria città dell’anima, hanno voluto sfatare versioni di storici contrastanti fra di loro, divergenze di opinioni, proposte non sempre convincenti, come quella di Holm che aveva inizialmente associato i due toponimi a Mistretta, affermando in seguito con molta leggerezza che Mytistraton doveva cercarsi presso una montagna vicina a Marianopoli (CL), a causa del ritrovamento di alcune monete in cui viene riportato l’etnico Mytistraton. Si ritiene non azzardata l’ipotesi di qualche mercante girovago o militare in transito da quelle parti in cui erano frequenti i rapporti della nostra città con l’hinterland per il trasporto di prodotti agricoli e della pastorizia.

Il ritrovamento di materiale fittile e di qualche moneta non possono provare che Marianopoli sia con certezza la Mytistraton greca. In Holm che non visitò mai Mistretta né studiò il luogo troviamo solo confusione e dubbi anche nelle sue parole conclusive: “questo pertanto sarebbe Mytistraton”. E’ bene ricordare che la geografia è sempre l’occhio della storia. Tra la ridda di ipotesi che si possono avanzare circa l’identificazione di Mytistraton con Mistretta è significativo durante la prima guerra punica l’assedio subìto dalla città la cui forma è letta nelle sue fonti che sono Polibio, dell’agrigentino Filino, del calactino Sileno, Diodoro Siculo, Tito Livio, Zonara Arabo. I Cartaginesi consapevoli di una impossibile resistenza alle potenti legioni di Roma, abbandonate le città della costa tirrenica, si attestarono sulle roccaforti dell’interno occupando numerosi siti tra cui Mytistraton già condizionata dall’eredità dei Fenici con i quali avevano avuto in comune la lingua, la religione ed anche l’origine fenicia. I Romani che disponevano liberamente della costa tirrenica ad Alesa, dove arrivavano i rifornimenti, si impegnarono a preparare uomini e mezzi.

Accampatisi presso il poggio di Arianna e nella vallata Scona, per la fiera resistenza dei Cartaginesi e degli abitanti, i Romani riuscirono ad espugnare la città che si arrese dopo il terzo assedio durato sette mesi. Salvatore Pagliaro Bordone in una pagina di “Mistretta antica e moderna” racconta l’ineluttabile destino degli abitanti. Con un linguaggio acceso e partecipe e con la fantasia di un menestrello reinventa una pagina eroica di storia locale facendola palpitare di eroismo e di amor patrio.

Secondo Tito Livio “i Romani volsero il loro cammino sopra Ippana. Dopo di ciò Attilio Calatino si condusse a Mitistrato e i difensori stanchi dei lamenti delle donne e dei figlioli l’abbandonarono a discrezione del vincitore: e così, uscito nottetempo il presidio cartaginese, i cittadini aprirono le porte della città ai Romani che, memori dei danni subiti nel corso dell’assedio, trucidarono tutti coloro che incontrarono per la via senza distinzione di età e di sesso”.

Ciò dimostra che la città per la sua posizione fortificata su un alto colle guardante i passi delle valli vicine non era lontana dalla costa tirrenica, il cui porto naturale di Alesa, protetto dai venti era non solo un utile approdo per le imbarcazioni ma anche un centro di raccolta delle risorse della zona montuosa. Dalla costa una trazzera penetrava nella Sicilia interna verso Mitistrato, Erbita, Agurion ed Enna. Il monte Castellazzo, situato nel profondo entroterra della Sicilia, sprovvisto di naturale difesa sebbene potesse essere munita di solide mura, rende inverosimile un lungo assedio. Inoltre, secondo la ricostruzione della rete viaria della Sicilia romana, da Mitistrato si biforcavano le trazzere verso la costa (Alesa e Calacte) e verso l’interno (Capitium ed Agurion) mentre dal Monte Castellazzo non passava alcuna strada.

Con la fine delle guerre puniche la città ricostruita in funzione agricola e in proporzione alle richieste di frumento, felice binomio commerciale mare monti, fu indicata con i suoi precedenti nomi ma latinizzati: Amestratus e Mytistratum. La maggior parte degli storici antichi e moderni parlano sempre di una sola Mistretta benché le diano nomi diversi. Nella cartografia e nelle mappe dal 1500 fino al 1800 gli antichi toponimi hanno sempre identificato un solo luogo e la stessa gente. Di Mytistraton che intrattenne buoni rapporti con il mondo ellenico sono testimonianza le monete battute nella sua zecca. Una moneta con l’effigie di Efesto con la testa pileata contiene impresse le iniziali dei nomi di Lipara e Mitistraton a indicare una intesa fra queste due comunità. I sei globetti circondati dalle foglie di ulivo sono la raffigurazione di un periodo florido per i commerci dei due centri legati dal culto del dio diffuso anche nei paesi della costa settentrionale della Sicilia, precisamente da Alesa a Tindari. Pertanto, Mytistraton, in una posizione da dove sono ben visibili il mar Tirreno e le isole eolie non poteva mai essere Marianopoli.

Cicerone riporta in modo non deformato il nome della città Amestratus perché glielo avevano riferito coloro che erano andati a lamentarsi delle malefatte di Verre, il propretore romano reo di avere estorto decime superiori alle possibilità degli Amestratini, definiti miseri et tenues col chiaro significato di uomini soggetti al sopruso e alla violenza. Cicerone citando Alesa, Cefaledio, Tindari, Erbita, parla della contiguità tra Calacte e la nostra città, caposaldo dell’economia silvo pastorale, associata ad Alesa nel cui porto affluivano oltre al “frumentum amestratinum, olio, prodotti caseari, pelli, legnami. Silio Italico nel suo poema storico Punica cita Amastra come centro siciliano che forniva a Roma uomini ben addestrati.

Intorno al 200 a.C., con il nome del popolo amastratino, viene raffigurato in una moneta coniata dopo la conquista romana, Apollo citaredo con la clamide sulle spalle e con la cetra. La città con il suo nome, Amestratus, non perdette il privilegio di una zecca. Polibio ribadisce la contiguità della cittadella con l’illustre Amestratus “prope Amestratum aliud fuit oppidum Nomae dictum”. L’amicizia e il collegamento tra i due alleati sono testimoniati dalla via Numea. Plinio il vecchio nell’elenco delle città tributarie della Sicilia cita i Mutustratini e non gli Amestratini perché si trattava della stessa popolazione e della stessa città e, quindi, non era il caso di scrivere i due luoghi. Anche altre città sono scritte in modi diversi, come per esempio Modica, Imachara volgarizzata in Bachara e Vaccarra. Esse sono le sfumature di un solo nome con innumerevoli varianti, storpiature dei nomi originali dovute a pronunzie di genti diverse oppure ad errori dei copisti dei manoscritti, che hanno comportato le correzioni del nome dal quale la nostra città ha attinto la sua forza mitologica.

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