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Dolci velenosissime spezieSeguendo l'iter di un Autore attraverso le proposte via via succedute, si è spesso tentati di stabilire paragoni, di avanzare confronti tra di esse, onde percepire l'aspetto che ne favorisca l'immagine più matura sul piano espressivo, più completa su quello tematico, in una parola, più convincente.
L'accenno alla musica mozartiana, tuttavia, non tragga in inganno, poiché nessuna concessione viene fatta, nella poesia dell'Autore emiliano, al melos, alla cantabilità, al ritmo. La rima stessa, nelle rare occasioni in cui si presenta, ha una funzione garbatamente ironica dove si stemperano angosce e tensioni filtrate dal reale, con il linguaggio più che mai calibrato ed attento, nonostante l'apparente noncuranza. Nella presentazione Domenico Cara si sofferma su questo tipo di scrittura, che definisce, parafrasando il titolo della raccolta: “velenosissima, per inedite specie e mai dolce e vanesia, estrema e grezza, contrapposta alla larvalità dei sintagmi liristici o malati di varia poesia, che si dice di avanguardia e che fantastica sulla costruzione del presunto”. Ma l'Autore ha un'idea molto personale della poesia, che si riflette, e quasi si esaurisce, nell'espletamento della propria professione (si ricorda che lavora come medico psichiatra presso un servizio di salute mentale, quindi a contatto con situazioni alienanti, che si ripercuotono, condizionano, avvalorano e vengono avvalorate dall'impegno poetico). Si legge nella composizione 15 della seconda sezione (Dolci velenosissime spezie), che dà il titolo all'intera raccolta: La poesia pratica l'idea, si arrende allo stallo, è nevrotica; quasi un'accusa, in definitiva, che però, è insieme anche un elogio riconosciuto ad un frammento dell'arte e dell'esistenza, che è la vita stessa. Di rimando un altro verso, nella poesia 11 della terza sessione (Neppure disposto a pagare troppo) recita: Una certa sperimentazione è deleteria, nella poesia / come in amore, che sembra stia a significare una certa predilezione per l'immediatezza, alla quale si rifanno i testi più brevi, quelli in cui gli aspetti folgoranti assumono, quasi sempre, un andamento ironico al quale si salda una componente tragicomica sempre in bilico tra lo scherzoso e il grave, tra sogno e realtà. Proprio sulla verità giocata tra questi due estremi poggia la poesia di Rossano Onano, così limpida e sicura. La barriera che il poeta alza tra queste due alternative viene ad essere, per forza di cose, piuttosto precaria, al punto che rimane difficile individuare quando il gioco finisce e quando incomincia la fase più propriamente meditativa del discorso poetico. Maria Grazia Lenisa in una nota, in quarta di copertina, parla di “steccato, però praticabile, anzi amovibile, che si può oltrepassare con uno sgambetto”. Leggendo questi versi è facile avvertire la provvisorietà del tutto, alla quale il poeta intende sopperire con l'ammicco della finzione poetica, seguendo la quale potremo spostarci a nostro piacimento in un mondo eternamente contrastato da dubbi e paure, rimorsi e sfiducia, ansie e delusione.
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