| |
I tre nomi della vita
L’albero della vita di G. Klimt, nel suo roboante splendore
dorato, è il dipinto scelto dalla poetessa triestina Franca Olivo Fusco per
illuminare questa sua lieve raccolta di poesie, che tratta con spirito di
profonda esperienza e saggezza temi estremamente universali. L’autrice stessa
decide di esplicitare, nella nota di apertura, lati e quadranti significativi
della sua opera, che presenta in innesto molteplici spunti autobiografici. E’
sua premura informare il lettore sulla genesi e sull’intento della scrittura che
l’ha trascinata, nella complicità degli anni, alla “confessione di una persona
che sente di essere arrivata all’ultima delle sue tante vite”. Spiega la Fusco:
“questa volta non ho diviso le poesie in sezioni in quanto parlando di vita
inevitabilmente si finisce col parlare d’amore e di morte”.
Eccoli, i tre temi a proposito dei quali tesi, antitesi e teorie perse
nella notte dei tempi riaffiorano qui tradotti in un linguaggio domestico ed
estremamente docile e tenero nel suo voler esprimere, a tutti i costi, una
semplicità di fondo. “Resterai intrappolato/ nello spazio della vita/ in attesa
dell’amore,/ della morte,/ della morte dell’amore”. L’esistenza è aspettare,
veder sfilare personaggi simili a noi, “avvitati/come lampadine/ al nostro
destino/ e come lampadine/ destinati a consumarci,/ a finire fulminati”. E nello
spazio infinitesimale della luce che ci avvolge, essere travolti dai dubbi (“Mi
ricorderò di chi ho amato?/ Potrò visitarlo in sogno?”), dalla quotidianità
della passione (“il primo bacio/ della giornata./ Il tuo mento/ carta vetrata/
sul mio volto”), dalla speranza (“continueremo/ a vivere/ se i nostri figli/ ci
porteranno/ dentro di sé/ al cinema/ [passione comune]/ o al solito ristorante/
in cui la famiglia da anni si riuniva”).
Brevi lampi prosastici, parchi di punteggiatura, che nella loro
laconicità svelano dettagli di una donna che indossa ‘lo stesso vestito’ da
quasi settant’anni, e lo indossa con sobrietà, eleganza, in grande stile. Non
nascondendosi mai dietro particolari metafore ed orpelli lessicali. Dialogando,
con la medesima naturalezza, delle poliedriche forme d’amore che questo nostro
transitorio passaggio ci riserva (“accade tutto/ all’improvviso./ Non si
ragiona/ ma talvolta il cuore/ fa la scelta giusta”; “fortunata/ la bocca
morente/ che riesce a dire/ -seppure a fatica-/ “Ti amo tanto” e non/ “Ti ho
amato tanto”).
Ma l’ardore poetico attraverso cui la poetessa decide di mettere in
scena il verso non si esaurisce quasi mai con l’epilogo del verso stesso. Il
racconto continua spesso, in chiosa a molti componimenti, attraverso un percorso
aneddotico, fatto di aforismi e citazioni riecheggianti lo spirito di quelle
rime. Fra tutte, alcune davvero meritevoli di essere menzionate. Dal “si impara
a vivere quando si impara a morire” della meravigliosa Alda Merini, fino al
sublime “imparerò a sognare per incontrarti nei miei sogni”, pronunciata dal
consorte Renato cui è anche in parte dedicata l’opera e considerato dalla Fusco
la sua vera “lente d’ingrandimento” (quasi un omaggio all’indimenticato
Montale). Una delle certezze preponderanti è l’aver vissuto con la certezza di
lasciare “la tavola imbandita/ sazia d’amore e di vita” e continuare a camminare
a piccoli passi sul palco dell’ ‘umana commedia’ nella totale accettazione
fisica e mentale del sé. Senza voltarsi indietro, ma nella consapevolezza che la
parola potrebbe creare, per lei come per ciascuno, ‘un testo di successo’.
| |
 |
Recensione |
|