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Una donna, dall’alto di una
rupe, guarda assorta una luna tondeggiante, che si rispecchia nel mare: lo
sfondo, un blu intenso e a tratti perlaceo, suggerisce tranquillità e
riflessione. La bellissima copertina del primo romanzo di Elisa Tropea è un
ottimo biglietto da visita per raccontare la storia di un originale viaggio
interiore.
In apparenza, la protagonista
senza-nome (che, come suggerisce la Mirabelli nella postfazione, potrebbe essere
ognuno di noi) approda, per una breve vacanza, ad Inishmaan, misterioso e mitico
luogo disperso fra i paesaggi irlandesi. Dentro di sé ha una vita che sta per
arrivare, nel cuore la voglia di abbandonare, momentaneamente (o forse per
sempre?), le abitudini di una routine sempre più ingombrante. In realtà, il suo
sarà molto più di un periodo di semplice requie. La terra, con il suo clima
particolare, l’accoglie fra le braccia usando il calore e la semplicità dei suoi
abitanti. Inishmaan è un Eden particolare, dove tutto è pace e lentezza. Ogni
attività, ogni colore, ogni suono ed odore sono avvolti in atmosfere ovattate,
in ritmi senza tempo. Ad Inishmaan, il denaro non ha valore. Contano i sorrisi,
il dolore di una malattia vissuta con dignità, l’allegria di un ballo, la musica
di una piva contadina. Gli abitanti di questo villaggio sembrano creature venute
da un mondo altro e lontano. Le sembianze sono umane, ma dentro albergano fate e
folletti. Tra incontri passionali ed amicizie nate per caso, essi sconvolgeranno
l’anima della nostra protagonista, finalmente in grado di riappropriarsi di se
stessa e del suo tempo, perso nel meccanicismo e nella velocità dell’esistenza.
Lacrime, gioie e piccole sofferenze invaderanno la sera della centesima luna,
una festa nata per celebrare la genesi di questo villaggio. Una festa
millenaria, che sa di rinascita e rigenerazione. Dopo di lei, nulla sarà più
come prima, e l’io femminile di questo viaggio potrà tornare al “vecchio”
ricoprendolo con qualcosa di nuovo: “Un giorno non troppo lontano, quasi per
caso, approdai ad Inishmaan, terra interiorizzante, per raggiungere la pace
dell’intelletto, anelata in ogni stella cadente passata nel cielo che sta sopra
la mia parte di mondo”.
E’, questo, un
romanzo da leggere con molta tranquillità, abbandonando gli orologi. Va
assaporato senza fretta, poiché ha in sé qualcosa di etereo e difficilmente
comprensibile per un lettore poco attento. Lo stile, semplice ed essenziale, non
aggiunge né toglie nulla al denso contenuto della trama e dei pensieri, che si
susseguono vibranti tra le righe. Indispensabile la dedica della scrittrice: “A
tutti coloro che ancora riescono a sognare, a chiunque ritrovi un po’ di sé
nella melodia delle parole, con la speranza che ci sia sempre qualcuno pronto a
vivere e a raccontare una fiaba”. | |
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Recensione |
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