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La soluzione
Scrutando tra la poliedrica
attività letteraria – e trasversale – della Benagiano, scoviamo questo delizioso,
piccolo ed ‘originalissimo’ (secondo la definizione del critico Bárberi
Squarotti) dramma in tre atti. Si tratta di un emblema, estremamente attuale,
della riflessione sull’autodistruzione umana, sulla valenza dei sentimenti, sul
principio così controverso dell’irrazionalità dei medesimi, e delle inevitabili,
disastrose conseguenze.
I rappresentanti di diverse
piattaforme spaziali, in un probabilissimo futuro, si interrogano sulla sorte
degli “indegni” Sap: si tratta dei sapientes, individui, ormai larve
umane, costretti a vivere sul pianeta Terra in grandi cubi concentrici, a tutela
di ciò che resta della loro salute ed incolumità. Gli abitanti di questa
“discarica mefitica” – così come i Tek, loro discendenti spaziali, hanno
ribattezzato il mondo – hanno fatto della scienza il motivo del loro lento e
progressivo annientamento. Le guerre, i disastri ambientali, i genocidi,
perpetrati in nome di una – solo presunta – razionalità, li hanno portati alla
quasi assoluta desolazione, tanto da considerare miracolo la visione, quasi
mistica, del più piccolo filo d’erba, o la nascita nell’anima di un moto di
speranza. Eppure, al di là della violenza del vivere, dei sussidi artificiali
per mantenere attivi gli organi vitali, essi, “gli indegni”, vogliono ancora
esistere. Ed è da qui che si innesta, tra i rappresentanti delle Piattaforme
spaziali, un’accesa discussione sulla giusta “soluzione” da adottare: sulla base
di principi assolutistici, si conviene quasi all’unanimità sul far cessare
questa lenta eutanasia. Ma tra i pareri, all’apparenza univoci, si insinuerà
all’improvviso qualche dubbio…
Scritta sotto forma di diatriba
filosofica (sembra a volte, paradossalmente, di trovarsi tra i cinici o i
sofisti, a disquisire su temi davvero universali), l’opera è ricca di spunti
moralmente ed eticamente dotati di grande profondità. Questo grazie anche alla
presenza, nel secondo atto, di due rappresentanti del genere umano ormai ridotto
all’osso delle emozioni, e del loro dialogo, a tratti quasi pervaso da una certa
malinconia del ricordo, che li rende pieni di tenerezza.
Nelle divagazioni
che sembrano riecheggiare quasi un letterario Blade Runner, senza troppo
citare stile ed influenza di P. Dick, l’autrice ci regala un promemoria
sentimentale ed ecologico su valori che paiono polvere alle nuove generazioni,
ma che rappresentano il fondamento della nostra esistenza di individui nella
collettività. Senza dubbio un libro che può essere destinato anche alla lettura
scolastica.
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Recensione |
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