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La tempesta dell'amore
Michela Vitturi, autrice al suo
secondo lavoro poetico dopo “Ultravioletto” (2009), regala al lettore più
attento e sensibile una piacevole raccolta di 40 poesie, attraversate da un
unico comune denominatore: la ricerca della salvezza. Nello scavo interiore
compiuto nei meandri delle proprie passioni e della propria fragilità, troviamo
una donna che fugge ancora “da spettri e fantasmi”, anelante una “santa pace”
che, sola, può trovare nel silenzio della Natura. Un'anima che corre via da se
stessa per ritrovarsi in un luogo perfetto, quello della sua infanzia, in “quel
posto che era scritto nei cieli / e nei mari”, (Burano) ma che lei non
riconosce più. Così come in Morte quella stessa anima vagante cade
nell'oblio del suo ricordo primordiale, la fanciullezza che fu: “dentro di
me / trovo croci e sepolcri. / Dovrei trovare / una spiaggia dorata / e una bambina
nel sole. / Ma posso vedere chiaramente / quella bambina trascinata / dal mare /
lontano, / per sempre”.
La disgregazione di un corpo, la
perdita dello spazio, e insieme il disfacimento morale e intellettuale di cui è
vittima l'Io poetico trova il suo culmine nella retorica di un interrogativo
eterno: “e di te, mente, / che resterà? / […] scacco dell'intelligenza
/ morirai
anche tu”.
Esiste però, nelle tenebre
interiori, un evidente e dunque possibile anelito alla luce. E' dato dalla
meraviglia del cosmo, dai suoi raggi di armonia, visibili tra le pieghe della
tristezza: “siamo solo noi / cielo, mare, luna ed io. / E io sto / come
racchiusa / in questa bolla di sapone, / seppur discretamente /illuminata. / Non
ora, non ora. / Ma è in questo mare /che voglio / annegare.”
Ed è cosi che l'opera diventa
continuo capovolgimento di sentimenti ed emozioni, espressi in maniera
trasparente ed incisiva, che rendono la ricerca dell'autrice a tratti
disseminata da perle di ottimismo e spinta emotiva. Tanto da non sottostare alla
resa, per non dimenticare quei tesori (vera parola chiave del libro) racchiusi
nel cassetto di ognuno, spesso “segreti”, spesso metafora di uno “scrigno
dorato” che tutti dovrebbero sempre tenere accanto a sé. Lo scrigno rivelatrice
del Vero, di ciò che è imprescindibile dalla comprensione della realtà, da ciò
che è fondamentale per cercare di attraversarla.
Da qui la rinascita finale, la
metamorfosi da pozzo a cristallo: “perchè io non sono un pozzo. / Casomai,
sono un vaso / di puro cristallo, / atto ad accogliere / e rifrangere / la luce
/ e i
suoi mille e mille colori”.
Strofe istintive e variopinte,
quelle della Vitturi, dove c'è spazio anche per la carnalità dell'amore,
espresso in ogni sua forma e trasmesso attraverso espliciti rimandi (Gondola;
Amore) ma la cui forza risiede comunque in quel panismo misto ad ascesi
spirituale che permea la maggior parte dei componimenti, e che rappresenta la
chiave maggiormente incisiva per comprenderne appieno il senso.
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Recensione |
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