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Le
poesie che mi sono figlie
Corposa e profonda interpretazione di vita vissuta, quella che Duccio
Castelli sceglie di regalare al lettore attraverso cinquecento bellissime
poesie, catalogate in cicli di infanzia, giovinezza, età adulta. "Mi dicono che
nessuno legge poesia. Nemmeno i grandi poeti. Lo so. Ho cocciutamente accumulato
mezzo migliaio di poesie, figlie, nate e che ancora nascono dalla fertilità di
tutta una testarda vita": così nell'introduzione, l'autore spiega la genesi
dell'opera, che parla di ricordi, amori, destino, solitudini, sogni, memorie.
Passato e presente si rincorrono felici, a volte malinconici, nel volo di una
rondine che lega i fili del tempo. Quegli uccelli migranti e allegri, che
tornano "prima di dormire a la nidiata calda", e che l'autore riconosce "da un
loro sorriso / più sguaiato, / dall'ingraziare svelto / di una danza, / da un moto
più brusco, / o l'impennata".
Esse sorvolano le illusioni, si librano su quegli affetti così intensi
nei quali si intravede, a volte, "qualche luce possibile / di semplicità". È il
poeta stesso, in un moto di tristezza, a ricordare, attraverso di loro,
l'ineluttabilità del tempo che scorre...quasi un Orazio moderno: "passano
rapidi / i momenti della vita / come un temporale notturno / che non ci conosce per
nome / ma ci culla / in una coccola calda". Vorrebbe, lui, andarsene in primavera,
come le rondini. Prima, pacatamente ma con innata freschezza letteraria, la
dolente riflessione cede il posto alla rievocazione.
Ed ecco amori perduti, risorti, delicati, maturi e giovanili. Sono lì,
nel suo cuore che implode amore, rilasciato dal verso: " ho amato donne invase
di nebbia, / giardini d'estate. Ho amato lucciole / e nomi d'autunno, pieni di
foglie e di sale. / Ho amato le voci che ho udito lontane. / Ho amato l'amore. / A
volte son solo e mi vedo". Un riflesso nello specchio della vita passata, che
lascia spazio a un rimembrare onirico ("corriamo sul fondo sabbioso / dell'Elba
senza nessuno / l'acqua tenera e nera / il sole nascosto dal mondo / la pace"); a
pensieri densi di senso ("dopo l'amore mi ascolto. / Per sentire i muschi
bagnati / e le lacrime dei crisantemi.[...] dopo l'amore le perle / riflettono
meglio / la caducità della nostra radice"), a similitudini pregne di nostalgia
("sei come nebbia deserta, profumo incompreso, / senza il tuo caldo bagno
d'ermellino / di sangue e di sole / e le tue labbra, / sassi del monte Capanne / un
lontano ricordo di sete / e deserto silenzio").
Sentimenti poliedrici e affini a emozioni universali, che si dipanano
su sentieri molteplici: legami con Milano, città di origine ("quanto sei piena o
casa, / o mia Milano, / di così tanti pezzi / così tutti chiusi in me / soltanto") e
con i tanti amici animali, eterni, che "insegnano la vita / senza l'assillo del
tempo", e che trascinano il poeta in dolci ricordi: "ecco dove ti eri messo: /
sei entrato nella cuccia /che ti avevo fatto / e che non volevi... / Mi hai voluto
lasciare così / il tuo saluto. / Ti ringrazio Nero. Stai bene."
Assolutamente presente, lampante, l'impronta pascoliana, che rende le
poesie di Castelli colme di disarmante semplicità. Lui, del resto, non dimentica
una dedica al grande scrittore, suo modello poetico: "siedo alla piazza stanco / e
guardo la casa della piazza / che devo lasciare. Prima / o poi tutti lasciamo / una
piazza. / Cinquant'anni. / Ci è passato di tutto. / Ora. È lì come in croce che /
stende / il suo petto a quel cielo / lontano. / (E il suo nido è / nell'ombra...)./
Pascoli, amico mio".
Grazie all'autore, per queste poesie così necessarie e
incontrovertibilmente uniche.
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Recensione |
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