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Memento
A mio padre / Alla sua generazione di esuli giuliano dalmati / A Orebič:
la dedica, posta in incipit all’interessante libro di Angela Ambrosini, racconta
l’orrore di (in)dimenticati eccidi, la perdizione di migliaia di martiri
straziati in terra di confine, negli anni della dittatura di Tito. Attraverso
una scrittura puntuale, densa, a tratti fotografica, l’autrice umbra rievoca
drammi esistenziali con una naturalezza quasi pascoliana, attraverso la lente
degli affetti, in un “ritorno alle origini” che coinvolge il nido familiare. Si
legge nella poesia Ritorno in Dalmazia: “tutto il mare / velato nel cuore /
di mio padre è in te, / Orebič, / fra isole e baie / sospese su silenzi d’acque”.
La cittadina croata è descritta con espressioni di superba bellezza ed eleganza,
attraverso incisivi enjambement che ne sottolineano, nel ricordo, la
potenza estetica: “cosa celi la strada / oltre ombre d’ulivi / e bianca pietra
d’assolate / case non so, / tanto tempo è passato / che quasi mi sorprendo /d’esser
stata bambina”.
Tra le righe, risalta l’orrore di una perdita d’identità che diventa
quasi “negazione stessa dell’esistenza”, come accade nello struggente monologo
finale Memorie dal sottosuolo, in cui anime perdute “nelle suture della
storia”, avvinghiate al “filo sdrucito del ricordo”, gridano la loro esistenza,
stremate da un “odio insensato, rovesciato addosso come olio bollente”. La
drammatica condizione di errante, sospeso in un limbo perenne, in terra di
confine, è incatenata negli occhi del padre Ivo, che ama visceralmente la sua
terra: “la mia vera patria, la mia Itaca, ancora una volta era sempre e solo
quel mucchietto di case di pietra sul filo del mare, tra stralunati fiori
d’agave avviticchiati a palme smilze dove si rincorrevano famiglie di topi e
scoiattoli”, è scritto nel racconto Esilio.
Ciò che colpisce maggiormente nella scrittura limpida ma forbita della
Ambrosini, è la capacità di tenere vivo un pensiero che mai sbiadisce, che si fa
carne nelle splendide descrizioni paesaggistiche (“ed è schianto di luce / è
rullare d’azzurro / quando dietro la curva / rimbalzi ridente al ricordo”), nello
stile pregnante nel quale il verbo, spesso alla fine della frase, impone a chi
legge di non essere dimenticato. La parola, conquista visiva ed emotiva, è
spesso un grido di dolore inascoltato, che pretende attenzione: “noi, progenie
sconosciuta, / taciuta, azzerata […] / noi qui sotto, da questa profondissima, /
inesausta verità, […] / noi, qui, sappiatelo, / silentes loquimur”.
La scrittrice, già vincitrice nel 2015 a Parigi del Premio “World
Literary Prize” alla cultura, oltre che finalista in oltre trecento concorsi di
poesia e narrativa, ha realizzato recensioni e studi critici su autori spagnoli
e conseguito il Master in Traduzione Letteraria presso l’Università di Siena. La
sua opera Memento si presta, oltre che ad una piacevole lettura
individuale, ad essere presentata a studenti della scuola secondaria superiore,
essendo ottimo strumento letterario, storico e didattico.
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Recensione |
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