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Oltre la siepe buia dei pensieri

“Credo di poter affermare che questo poemetto riesce ad incantare per la musicalità del verso, per la compostezza ritmica e per l'attenzione rispettosa della metrica”: attraverso le parole dell'editore Eugenio Rebecchi, poste in calce al poemetto, è possibile cogliere l'aspetto migliore della produzione di Carla Baroni, veneta di nascita ma ferrarese d'adozione, già autrice di quattordici raccolte di poesia. La trasmissione Farenheit di Rai 3 afferma di lei: “la sensibilissima poetessa Carla Baroni è fra i tre migliori scrittori di Ferrara”. Non a caso, tra i versi bellissimi ed impeccabili dal punto di vista stilistico, è possibile cogliere dei sottili rimandi all'ariostesco Orlando Furioso. Immagini quasi cavalleresche e battagliere, ma tenere nella loro accorata ricerca d'amore, del senso del vivere. Scrive la Baroni: “Ridammi allora le mie ali nere / fa che ancora / trovi rifugio il fiato del mio labbro / dentro il respiro dell'intero cosmo / e tacerà per sempre la mia voce / trafitta dall'essenza del perdono”.

Ogni poesia è scandita da apostrofi di grande impatto spirituale, attraverso le quali la poetessa si interroga sulla dimensione umana e trascendente, tema chiave dell'opera. “Dammi la mano, Dio, dammi la mano: / sono pecora smarrita, sono agnello / perduto nella sabbia del deserto”: l'appello evidenzia un dolore struggente, dal quale è possibile uscire soltanto attraverso la forza della fede. Nell'intimità di una silenziosa ricerca di approdo, la preghiera è mezzo imprescindibile e salvifico, un appiglio necessario: “prego ingorda / come bimbo voglioso che lo zucchero / chiede per sé e non si cura d'altro”. Talvolta però, è possibile intravedere una luce che scava nella durezza della roccia, nei pensieri, e riesce a solcarli attraverso un caldo abbraccio: “ti sento a me vicino / nell'inconscio abbandono fiducioso / d'un figlio nelle braccia della madre / che a sé lo stringe per condurlo al sonno”.

Molto sentita, come scrive Orazio Antonio Bologna nella prefazione, “l'insanabile crisi di Valori, ancoraggio e spinta propulsiva di intere generazioni verso alte e significative conquiste dello spirito”.

Tra le righe si legge a volte una leggera malinconia, un lieve dolore per la paura che l’ancora religiosa possa non assolvere alla sua funzione salvifica, perché non percepibile nell’immediato. In Ignoro io da sempre si legge: “ignoro se Tu esista veramente / o sia soltanto frutto del pensiero / di quel pensiero che rifiuta ancora / l’idea / d’essere stata abbandonata al mondo”.

C’è spazio, tra le litanie tristi, per l’immagine del Tempo che “copre, seppellisce, infanga”. Climax estremamente negativo, il cui stile però subisce una lieve battuta d’arresto attraverso immagini lievi, quasi surreali, presenti nei versi successivi: “l’idea dell’uomo forse è una chimera / che si realizza in stampi per i dolci”. La ricerca del sacro si aggrappa a qualunque simbolo, fisico o spirituale, che la scrittrice incontra sulla strada. Essa è tesa al raggiungimento anche solo di uno stralcio di Verità, attraverso qualunque mezzo: “di giorno intesso le mie reti / con canapa robusta e iuta in fiore / per catturare in mezzo a tanti pesci / nel lastrico di un mare smisurato / qualcosa che mi parli un po' di Te”.

Nonostante il tema sia trattato in modo molto introspettivo, lo stile, nella sua ricercatezza, alleggerisce parole grevi, donando un’aura delicata e leggiadra, che rende la lettura impegnativa ma piacevole.

Recensione
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