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Parusia
Gianfranco Jacobellis,
alla sua quinta raccolta di poesie, esprime con profondo -ma immediato- impeto
filosofico la necessità di interrogare il mondo (e dunque se stesso), affinché
esso possa riflettere al lettore luci di speranza. Attraverso rime estremamente
musicali, nelle quali l’assenza di punteggiatura confluisce in una dimensione
sincopata di ricerca, si leggono temi universali, cui la scrittura tenta di
fornire direzione: “tra realtà ed apparenza / la poesia trova le parole / più
vicine alla non esistenza / l’enigma della presenza assente / che disorienta il
tempo”. Talvolta sembra maggiormente importante porsi quesiti, senza attendere
onorati feedback che potrebbero non arrivare mai (“una discesa / è una
salita / che si è arresa / alla fatica / dell’ascesa / desiderare troppo / e troppo
sperare / può stancare”). L’essenziale è Vita, Attesa, il filo che scorre lungo
la clessidra di un tempo che procede per ‘trilli di vita vissuta’: “capisci che
è importante / conservare ogni istante / che sia determinante”. Per farlo, occorre
il coraggio di vedere: “non avere paura / la vita si nasconde / in ogni sera
/ si
dimentica / il ponte per la luce / ma poi l’aiuto arriva / da un segnale acceso
sulla riva”.
Parola chiave e gioco
letterario fondante dell’opera, la descrizione incessante dell’Anima, alma
perpetua attraverso cui la parusia che dà titolo all’opera trova
nicchia e conforto, per poi disvelarsi ‘in ogni cosa materiale di cui è fatto il
mondo degli uomini’. “L’anima più giusta / parla con se stessa”; “ma l’anima non
è una valigia da frugare”; “come in fuga / le bolle d’anima / vanno a cercare
/ il
tesoro ideale”: l’importanza di un Io interiore che dev’essere protetto, che
trapela stima, che risulta cosa preziosa, permette all’Uomo di non perdere se
stesso, e non disperdere la propria identità fisica ed intellettuale, che può
anche non essere necessariamente catalogata in contesti artefatti e
prestabiliti: “i sogni che invento sono solo miei / ed ho capito che non è
necessario / che tutto ciò che penso abbia un senso”.
È piacevole imbattersi
nei versi di un poeta che rende lieve anche la massima più straziante (“niente
ha più valore / del saper soffrire”), e che tra rime baciate ed alternate pone
con leggerezza all’attenzione di chi legge parole posate e raffinate nella loro
architettura d’insieme: ognuna di esse ha una sua logica precisa ed implacabile.
Nulla è lasciato al caso: lo stile è sempre ponderato, ordinato ed efficace. Tra
le righe, c’è spazio anche per tocchi di romanticismo e dolcezza: “ho amato il
lato / dove è cresciuto / un fiore sconosciuto / s’arrampicava con furore
/ quasi
fosse l’amore / s’avvicinava al cuore”.
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Recensione |
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