| |
Ti lascio una storia da raccontare
“…ma poi il tuo
sguardo si volse agli uomini e alle donne/ che si nascondono nelle tane del
destino in grandi città,/ per vedere uscire le loro anime, e così capire,/ come
vivessero, e per che cosa, e perché/ s’affannassero tanto a strisciare lungo la
strada sabbiosa/ dove manca l’acqua quando l’estate declina”.
Tali meravigliosi
versi, tratti dall’Antologia di Spoon River, descrivono abilmente
l’incanto ed il mistero che pervade il breve racconto del duo Aquilini Brentani.
Non a caso, infatti, essi hanno il compito di aprire la via della narrazione,
seguiti da altri aforismi di autori antichi e moderni, posti a cornice di ogni
singolo paragrafo e sempre di notevole impatto emotivo. Quella che si apre ai
nostri occhi in quest’opera è una Bologna mirabilmente descritta e pervasa da un
fascino quasi anacronistico, nella quale il cimitero della Certosa (che la
Brentani definisce “un frammento della nostra anima”) svolge un ruolo
fondamentale, con i suoi sentieri magici e talvolta inquietanti. I due livelli
letterari che si alternano nel racconto fanno da sfondo alle vicende di
Carolina, giovane donna dell’Ottocento dal cuore diviso da tempestose passioni e
Gemma, vivace ed eclettica restauratrice contemporanea che avrà il compito di
occuparsi della tomba della defunta dama. Le loro storie si incroceranno, dando
vita ad una vicenda dai contorni enigmatici, nella quale la noia è nemica
bandita e le lettere d’amore, con il loro stile arcaico e coinvolgente, le
principali protagoniste…
Ciò che
maggiormente colpisce nel libro è l’ottima abilità descrittiva che entrambe le
scrittrici dimostrano di possedere, e che rende quasi carnale e reale la città
felsinea, già sfondo di tanti racconti gialli. L’atmosfera è accattivante, lo
stile semplice ma efficace, l’intento lodevole. Un buon prodotto letterario,
frutto dell’amore per la scrittura che nutre l’anima e la mente delle due
autrici fin da quando erano bambine, così come loro stesse ammettono in quarta
di copertina. E la voglia di scrivere, “non per noi ma per gli altri”, così come
ammette Silvia Aquilini, ha dato ottimi risultati. Forse, se pecca deve esserci,
è in un’immagine di copertina un po’ spenta che non rende onore al fascino del
libro.
| |
 |
Recensione |
|