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Obiettivo sulla memoria

Da diverso tempo ormai le espressioni artistiche ottocentesche vengono rivalutate, dopo essere state rifiutate a lungo in nome di quella mutazione del gusto e della cultura che porta inevitabilmente verso incomprensioni e ciclici apprezzamenti di ciò che il passato ha prodotto. E si riscopre l’Ottocento anche nelle sue forme più lontane culturalmente dai nostri tempi, quelle prodotte ad esempio da un gusto celebrativo che ha assegnato all’arte il compito di monumentalizzare fatti e persone nella speranza di poterli consegnare così all’eternità.

E in questo spirito di recupero si pone anche il volume pubblicato in seguito ad una mostra da Luccia Danesin, fotografa padovana che ha puntato il suo obiettivo sui monumenti funerari della sua città. Una serie di scatti raccolti sotto il titolo Soglie (Biblos Edizioni), volti a catturare lo spirito più autentico che ha generato quel luogo e si è tramandato nel tempo.

I cimiteri hanno offerto una grande opportunità agli artisti del XIX secolo, con un genere però di committenza che ha contribuito a trasmettere l’immagine di un’arte carica di un sentimentalismo difficilmente oggi condiviso, neppure se contestualizzato nella celebrazione della morte. Ma proprio verso quelle immagini lapidee si riaccende un crescente interesse in grado di superare anche la natura diffidenza che i recinti cimiteriali suscitano. In particolare in questo 2004 nel quale ricorrono i 200 anni dall’emanazione dell’editto di Saint Cloud con il quale Napoleone sancì la nascita anche di questa trta le varie funzioni e istituzioni della città modernamente intesa.

Oggi non è raro incontrare gruppi turistici in visita nei cimiteri più famosi d’Italia, come quello di Milano o di Staglieno a Genova. E sempre più diffuse sono anche le pubblicazioni che li riguardano: in questa l’obiettivo della Danesin si è posato sulle figure marmoree del cimitero tardottocentesco di Padova, mettendo a fuoco nei dettagli il languore addolorato di angeli e figuri femminili. Mentre nel primo Ottocento ci si muoveva nell’ambito di una simbologia funerarie rigorosamente neoclassica, le correnti realistiche della seconda metà del secolo generano simulacri che rispecchiano i valori della classe sociale borghese emergente.

Verso la fine del secolo la temperie culturale simbolista produrrà le tensioni emotive più temerarie. Gli scatti fotografici evidenziano in queste pagine proprio quella sensualità esasperata in cui eros e thanatos si intrecciano indissolubilmente. Una sensualità accentuata da qual senso di decadenza che domina su tutto, prodotto dal tempo, dai marmi macchiati e scorticati, da ciò che resta della memoria dei vivi negli oggetti lasciati ai piedi dei monumenti. Tutti particolari su cui la fotografa impietosamente si sofferma, quasi a colmare quella distrazione che invece caratterizza il nostro sguardo quando entriamo a far visita, spinti da altre motivazioni, in questi luoghi.

Su “L’arena” e “Il giornale di Vicenza” 24 maggio 2004.

Recensione
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