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Si dice che la poesia non abbia tempo poiché non racconta le storie degli
uomini bensì i loro sentimenti, tuttavia rende un'immagine del tempo e della
società che l'ha prodotta poiché ne ispira il senso più intimo. Da questo punto
di vista, questo libro impone al lettore più attento una riflessione, una
considerazione amara.
Un linguaggio forbito, denso di citazioni e di riferimenti di rilievo,
specie nella prima parte. Una versificazione che, anche se priva di schemi,
raramente sfugge alla musicalità. L'ampiezza, non nel senso della trattazione ma
in quello temporale, degli argomenti scelti e spesso accennati nelle loro
caratteristiche più connotative, e la visione spesso indagativi degli aspetti
più reconditi. "irradiandosi venne l'intelletto | a posarsi sulla bestia
inquieta.". Le parole sono subito memoria, e non mancano soluzioni buone: "…
la lingua sciolse | parole e il vento sparse il seme." (p. 10).
La dilatazione del tempo sopperisce ai balzi a volte abissali: Gesù
Copernico, Colombo, Marconi. Ed è proprio giunti a quest'ultimo che i
riferimenti scadono da Omero a Laurel-Hardy, da Arianna all'Antonelli: è il 1900.
Il tono si fa minore (bemolle?) i riferimenti diventano i qualche caso personali
ed è inevitabile il confronto fra "Nel tempo l'uomo è vento che s'invola"
(p. 4) e "dopocena la ragazza scende lieve" (p. 23).
Il punto di vista, vago fin dall'inizio, dove poteva essere indotto dalla
lontananza dei fatti e dalla loro profondità storica, si mostra successivamente
in tutta la sua aleatorietà, è quasi inesistente, non c'è un soggetto che guarda
ma le cose vengono viste, come in una ripresa aerea senza significative zumate.
Anche quando l'occasione porge il tema sociale: "(mamma, mamma, dammi
cento lire | che al cinema voglio andare)" (una possibile quanto amara vena
satirica non è sfruttata appieno), "là dove cicatrici d'odio | s'alzano a
muraglia in Palestina", lo sguardo resta distaccato e senza enfasi per il
mezzo né per il suo scopo, nonostante le buona soluzione cicatrici-muraglia, ed
ancor più: "sopra mazzi di fiori | a sentinelle d'un sorriso lieve.".
Nella raccolta compare più di una volta il termine homo, in
corsivo nel testo, ma non compaiono mai coscienza – consapevolezza –
riscatto e neppure orgoglio, compaiono invece consolazione – quiete –
misericordia. Se le parole hanno un legame con la memoria atavica la loro scelta
non può che essere significante, specie in poesia. Questo è il senso intimo che
del nostro tempo traspare da questa poesia, indipendentemente dal grado di
coscienza che ne possiede l'autore, ma non crediate che non ne sia consapevole.
Per convincervene provate a leggere le due poesie che concludono, quanto mai
tempestivamente, la raccolta. Giano, chiara e circostanziata come nessun'altra;
Immensa neve, immensamente dilatata ma senza dispersione. Mi ricorda la
monumentale opera in fieri di Roberto Roversi: L'Italia sotto la neve.
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Recensione |
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