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Quando si ama intensamente la propria
terra, la poesia che la descrive diventa immediatamente un inno ed ogni
espressione diventa un lirismo pressoché perfetto.
Così appare ad ogni lettore il libro di
poesie di Pietro Nigro, “Il deserto e il cactus”. Un titolo sintomatico che è
già di per sé una introduzione allo spirito dell’Autore che si nutre soprattutto
di quelle dolci immagini da lui descritte con completa ed esuberante passione. I
secolari mali di dura esistenza della sua splendida isola, condensato selvaggio
di bellezze naturali, vengono proposti da Pietro Nigro con appassionato canto
poetico il cui motivo centrale vola da una rabbia contenuta ad una espansione
quasi orgogliosa di ammirazione e di un amore profondissimo, a volte commovente
ed a volte esaltante.
Questo libro di poesie è suddiviso da Pietro Nigro in due parti: “I segni del
tempo” e “Il deserto e il cactus”. Dovrebbero essere, secondo l’autore, due
parti ben distinte, almeno come contenuti; si tratta invece solo di due periodi
di tempo, ossia dal 1976 al 1979 e dal 1980 al 1981 e ciò, suppongo, in due
periodi ben definiti che esprimono stati d’animo diversi, anche se, ad una
lettura superficiale, non appaiono molto evidenti: lo stile poetico, sempre
molto curato e soffuso di delicatissime espressioni, non subisce alcuna
metamorfosi e mi pare sia sempre in crescendo, frutto evidente di una
maturazione continua e regolare, caratteristica proprio di chi sente la naturale
necessità di perfezionare quell’ansia che lo attanaglia con forte pressione
psicologica.
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Recensione |
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