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La trilogia del mare

Racconti e disegni di Gianni Calamassi

La testa di O

Bernardo il paguro guardò quella grande conchiglia: un Pecten Jacobeus gigante, chiuso, anche se le acque intorno erano calme.

Si trascinò lentamente tirandosi dietro il nicchio di un turbinide nel quale abitava; gli sembrava che dall’interno del grande pecten provenisse un rumore sconosciuto, che alterava il silenzioso fruscio delle alghe e delle gorgonie che popolavano la zona circostante.

Si rivolse ad un vermetide per domandargli se avesse mai sentito una vibrazione così rumorosa e persistente, ma anche i tubicoli curiosi scossero la testa e scomparvero timidi.

Bernardo pensò al tempo che gli ci sarebbe voluto per arrivare a capire qualcosa di quel fenomeno inusitato, quando sentì arrivare velocemente il suo amico polpo.

Quando gli fu vicino lo chiamò:

“Ciao Polpetta, vieni qui, ascolta questo rumore”

“Se mi chiami di nuovo Polpetta, giuro che ti sfratto di casa e ti lascio a pancia all’aria; poi vedremo se avrai ancora il coraggio di prendermi in giro.” Gli rispose innervosito, lanciando un forte getto d’acqua che lo spinse verso il pecten.

Bernardo rabbrividì al pensiero, ma fu subito distratto da una medusa leggera e trasparente, che si unì alla conversazione facendo la svampita; solo Polpetta sembrava deciso a risolvere l’enigma.

Giunto vicino al bivalve, allungò uno dei suoi tentacoli e bussò sulla valva superiore finché il rumore cessò e la conchiglia si aprì per mostrare al suo interno una testa con tanto di barba, baffi e capelli nerissimi. La testa con gli occhi ancora gonfi di sonno brontolò:

“Ma nemmeno quaggiù si può stare in pace?” E vedendo che tutti si erano nascosti per la paura, sorrise.

Bernardo fu il primo che, avanzata la grossa chela difensiva, le domandò chi fosse, mentre Polpetta e la medusa tornarono lentamente allo scoperto.

“Sono la testa di O, che una donna ha tagliato dal corpo, e buttato in mare come se questa fosse una pattumiera.”

Un oh! di meraviglia increspò le acque, ed anche una grossa stella si coprì gli occhi con i bracci per non vedere quello spettacolo, ma pronta ad ascoltare la storia.

“Anch’io faccio come Bernardo, mi sono nascosto in questo grande mollusco, ho aprofittato della sua disponibilità e lui mi difende dai pesci, che altrimenti mi avrebbero già spolpato.”

“Si. Si. E’ vero. – borbottò il pecten, che si chiamava Giacomo – Mi è caduta così vicino, che l’ avevo presa per una bomba, ma dopo il primo spavento gli ho offerto ospitalità, tanto posto ne avevo.”

“Bravo Giacomone! – esclamò Polpetta, agitando i tentacoli – Ma fa un rumore che ci tiene tutti in agitazione.”

O ribadì che non faceva rumore, lui! E non sapeva nemmeno se russava, era così che si chiamava il rumore, lo sentiva dire dagli altri, perché lui dormiva.

“Vedete – disse – Giacomo può riposare tranquillo, perché il rumore “sconosciuto” tiene lontano tutti amici e nemici, cosicché anche lui può rilassarsi. Erano anni, mi ha raccontato, che a causa delle dimensioni, non riusciva a trovare un posto tranquillo dove nascondersi.”

Giacomo sorrise e confermò il racconto di O, che ancora assonnato voleva riprendere a dormire.

La curiosità era tanta che si era formato un assembramento, si erano aggiunti cavallucci marini, un branco di occhiate ed altri pesci che andavano a riportare la conversazione alle gorgonie ed alle attinie.

Bernardo si sentì messo da parte, lui che aveva scoperto il fenomeno, ora non veniva nemmeno interpellato; al che decise di sbattere la chela su un nicchio vuoto: tutto si zittì e così poté domandare ad O come mai lui non avesse paura.

“Non ho paura – rispose – perché la testa ormai l’ho persa, ma anche tagliata dal corpo è viva per l’affetto di Giacomino, che mi protegge, e mi nutre.”

Tutti fecero cenno di aver capito quelle argomentazioni, ma Polpetta volle insistere:

“Ma non hai proprio paura di nulla?”

“Temo solo le donne – rispose O – che fanno perdere la testa!”

La medusa che era svampita, ma non scema, disse:

“Qui ci sono solo le sirene, che se cantano fanno perdere la testa ai marinai, che finiscono per annegare. Interi però sono tropo grossi, non c’è nessuno che li possa contenere.” Si fermò, per riflettere su qualcosa che gli frullava nella gelatina:

“Per la verità ho sentito dire che un uomo, intero, sia sopravvissuto dentro una balena…”

Tutti si misero a parlare contemporaneamente, alzarono perfino la voce per dire che non bastavano le teste, ora anche gli uomini interi, ma dove si sarebbe andati a finire di questo passo: da… Pinocchio?!

Diploma di Merito al 9° Premio “Città di Empoli” – 2005
Pubblicato nell’Antologia “Mosaico – scrittori sopra le righe” – LiberArte - 2014

Il fiasco di vino della sirena

Una medusa leggera e trasparente, che non faceva più la svampita, aprofittando dell’attenzione del grupo, raccontò un fatto che riteneva interessante.

“Ho incontrato una sirena, con una stella in fronte, ed una più grande, usata come fermaglio per i lunghi capelli.” Precisò dimenandosi, che non era questa la cosa eccezionale, ma che era triste e aveva sempre un fiasco di vino in mano: che le serviva per scaldarsi!

Polpetta intervenne per dire che aveva raccolto un calice di cristallo da un relitto, e sarebbe andato a cercarla per fare un brindisi, che non ne aveva mai fatto uno.

La medusa, che era astemia, deplorò la situazione e minacciò di andarsene, ma non lo fece. Il paguro Bernardo si lamentava della sua lentezza, che gli avrebbe fatto perdere questo incontro e brontolava in continuazione. Anche la testa di O comparve tra le valve aperte del pecten per esclamare :

“Una donna anche quaggiù! Mi perseguitano! Proprio ora che pensavo di stare tranquillo.”

Nel frattempo Polpetta guidato dalla medusa, tenendo il calice in alto, andò a cercare la sirena, la trovarono e dopo averle raccontato l’antefatto, le chiesero di accompagnarli dagli amici.

La sirena bella, ma triste, tenendo in mano il fiasco di vino li seguì, nuotando con grazia fino al luogo dove il grupo era in attesa; una volta giunti salutò tutti, compreso Bernardo, che ne fu molto felice.

Polpetta non perse tempo e, mostrato il bicchiere, le chiese subito del vino per fare un brindisi. La sirena, che si chiamava Serena, gli spiegò che se avesse usato una turritella come cavatapi, il vino si sarebbe disperso nel mare svanendo per sempre. Tutti annuirono convinti del fatto, anche due cavallucci che giocavano tenendosi con la coda ad un’alga. Serena raccontò che una volta era nel cielo invernale e aveva tanto freddo che aveva cominciato a bere per scaldarsi e, solo dopo essersi accorta di tremolare tropo e aver sentito i rimbrotti delle compagne, aveva deciso di buttarsi in mare, tanto nessuno si sarebbe accorto della sua assenza nella via lattea in cui abitava. Tutti volevano dirle qualcosa di affettuoso, non aveva fatto piacere a nessuno quella decisione, provocata da compagne intransigenti, ma Serena proseguì:

“Nel mare il buon Nettuno, mi ha trasformato in una sirena, con il mio inutile fiasco di vino. Infatti mi sono stabilita vicino alla Corrente del Golfo, che provvede a mantenermi calda.” Tutti sorrisero, anche una timida murena, che si era avvicinata silenziosamente, si fece notare per le manifestazioni di gioia, spaventando un branco di piccole occhiate.

“Pian pianino – prosegui – sono diventata amica dei pesci e dei granchi, con cui gioco a dama.” A sentire queste parole la testa di O si tranquillizzò e dopo aver confermato i suoi dissapori con le donne, si mise a disposizione per contare le mosse e tenere a memoria i punti dei giocatori. Immaginate la gioia di Polpetta, che in questo gioco primeggiava, capace com’era di giocare anche più partite contemporaneamente.

Gli amici la invitarono a rimanere con loro, ed anche la testa di O, vinta l’iniziale titubanza, si espresse per dar vita a questo nuovo sodalizio; però la bella Serena dopo pochi giorni se ne andò, lasciando tutti sgomenti.

Disse che non poteva allontanarsi tropo dalla Corrente del Golfo, perché se il suo cuore freddoloso si fosse gelato, a nulla sarebbero valsi gli amici per scaldarlo, e lei sarebbe morta. Portava il fiasco con sé per non dimenticare le sue origini e gli accordi che aveva preso con Nettuno.

Nessuno riuscì a farla ridere con qualche battuta, neppure la medusa che si vergognò di aver pensato male di chi beveva, la compagnia attraversata da una corrente gelida, pensò alla facilità con cui si potevano esprimere giudizi, anche sbagliati. Polpetta con il calice vuoto, sentiva le lacrime scendere e mescolarsi subito con l’acqua marina, la testa di O comparve tra le valve di Giacomo e salutando Serena, le confermò che se avesse incontrato lei la sua vita sarebbe cambiata. Bernardo subito replicò che questo non sarebbe stato possibile, perché sarebbe rimasto sulla terra e non avrebbe mai potuto conoscere Serena, “Santo cielo – aggiunse - come si fa ad essere così poco razionali!” e rientrò nel suo guscio.

Mentre le alghe e le gorgonie si agitavano in segno di saluto, un corteo di pesci, molluschi e quanti altri potevano muoversi l’accompagnarono per una parte del viaggio di ritorno.

Stralcio presentato da Emanuele Martinuzzi su F.B. © diritti riservati

La balena innamorata

Il grupo di animali marini non ebbe il tempo di ritornare alle proprie attività che l’ombra immensa di una balena oscurò il fondo del mare interrompendo ogni attività e conversazione, fino a quando Polpetta non disse:

“Ragazzi è la balena innamorata, ha visto cadere in mare durante una tempesta un “baleno”, se ne è invaghita e non fa altro che cercarlo, sconvolgendo con la sua presenza(mole) questi luoghi tranquilli. Vaga disperatamente con il mare in tumulto senza mangiare, sono certo che finirà male.”

“Chi può dirlo.” Sentenziò la testa di O con la voce che filtrava ovattata, attraverso il bordo sigillato del pecten Giacomino. “Io so cosa vuole dire perdere la testa.”

Passata la paura, tutti tornarono alle loro occupazioni e ricominciarono a parlare contemporaneamente.

Tanti giorni trascorsero e tutti si erano scordati della balena innamorata, quando un giorno un tonno dalle pinne gialle, che aveva perduto il suo grupo, timidamente si avvicinò alla radura che ospitava la piccola comunità.

Ogni volta che qualcuno si avvicinava, soprattutto se era un grosso pesce la fifa gelava ogni conversazione e tutti cercavano in un modo o nell’altro di nascondersi, ma Tonnino, così si chiamava il visitatore, fece in modo da non intorbidire le acque con movimenti disordinati (inconsulti) della sua mole.

Quando si accorsero delle sue buone intenzioni Polpetta, Bernardo, la medusa svampita ed anche Giacomino con la testa di O, gli si fecero intorno subissandolo di domande, ma soprattutto per chiedergli che novità portava dai mari lontani da cui proveniva.

Grande fu la meraviglia quando Tonnino dopo essersi schernito e aver ceduto alle lusinghe dei nuovi compagni chiese se avessero mai sentito parlare della balena innamorata: tutti annuirono rumorosamente, cercando di prendere la parola, finchè il paguro Bernardo li zittì invitando il “pinne gialle” a raccontare questa storia con calma e senza trascurare alcun particolare.

Polpetta ripeté quel poco che sapevano sollecitando Tonnino ad iniziare il racconto.

Il tonno era un ottimo novellatore e sapeva come mantenere viva l’attenzione degli ascoltatori.

“…nei suoi piccoli occhi era rimasta quell’immagine luminosa, che non si spegneva e l’obbligava a vagare alla ricerca dei temporali, perché sperava non solo di vederlo di nuovo, ma questa volta di non perderlo e potergli dichiarare il proprio amore.” Gli ascoltatori furono magnetizzati da queste parole, ed ognuno ricordò gli amori passati e gli affetti da cui era circondato.

“Nelle notti buie e tempestose vedeva in lontananza quei bagliori, che in successione riempivano il cielo. Allora raccoglieva le sue forze e nuotava ferocemente verso l’orizzonte che i lampi illuminavano.

I tuoni la impaurivano è vero, ma l’amore non permetteva che avessero il sopravvento.

Le compagne prima cercarono di disilluderla, di spiegarle che non si era mai, dicevano convinte “mai!”, sentito dire di una balena che viveva con un “baleno”, ma lei no, era convinta che le avesse rivolto un sorriso ammiccante, quasi un invito.

Le sue compagne si immergevano lentamente, spruzzando, con l’enorme coda piegata come a voler indicare la direzione dove doveva tuffarsi. Ma lei scrutava l’orizzonte, che non riusciva mai a raggiungere.

Tutto avvenne in un attimo, mentre inseguiva un temporale senza accorgersi che si stava dirigendo verso terra.

Tutti gli animali marini siano piccoli o grandi, ma soprattutto questi ultimi sanno come sia pericoloso avvicinarsi tropo a terra perché basta una distrazione che la bassa marea ti frega e puoi morire arenato, con il sole che ti spacca la pelle e le branchie che, senza acqua, non ti fanno più respirare cosicché tu muori soffocato.

Nulla poterono le compagne che sollevando alti spruzzi cercarono di richiamare la sua attenzione per indicarle il pericolo a cui andava incontro, ma tutto fu inutile. Non ascoltò !

Continuava a ripetere:

“Ecco il mio cuore, mi ha visto! Mi manda queste vivide luci per comunicarmi di seguirlo, per dichiararmi il suo amore. Ho avuto ragione a non smettere di cercarlo, finalmente saremo insieme.”

Ormai era tropo tardi. Si arenò e vani furono i suoi sforzi per recuperare il largo. L’angoscia l’attanagliava, il pensiero dell’inutilità di quella morte, l’avere perduto per sempre i suoi sogni, questo era il cruccio maggiore, la sua disperazione.

Mentre agonizza sulla spiaggia un “baleno” cade sulla pineta e la incendia.

Il vento alimenta le fiamme che si alzano al cielo fumose, trasportando con sé una gran massa di cenere, che lentamente cade sulla balena, scaldandone il grande corpo.

Il fuoco la consola e la convince che è la disperazione del suo amore per la sua perdita, è la sua grande dichiarazione d’amore e la cenere che la copre come un mantello è il suo ultimo abbraccio prima di morire su quella spiaggia sconosciuta.

La gioia le chiude gli occhi e non abbandonerà più il ricordo che rimarrà di lei.”

Un silenzio abissale si stratificò, anche Tonnino non sepe trattenere un profondo sospiro, e volgendosi agli ascoltatori silenti, disse con la voce bassa:

“Ogni volta che racconto questa storia, non riesco a scansare questo profondo coinvolgimento, che mi fa pensare a che livello ti può portare l’amore…”

La testa di O, annuì e farfugliò l’ennesimo “ne so qualcosa io…” Nessuno, nepure Bernardo, ebbe il coraggio di zittirlo e trattenendo le loro riflessioni, ringraziato il tonno dalle pinne gialle, andarono cercando un luogo isolato in cui ritirarsi, per continuare a riflettere su questa incredibile storia d’amore.

Svilupare “Ma ora non avrà mica ancora quell’uomo in corpo?”

Le balene più vecchie e sagge le narrano di Gepetto.

Stralcio presentato da Emanuele Martinuzzi su F.B. © diritti riservati

I disegni sono dell’autore © tutti i diritti riservati

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