|
Promethéus. Il dono del fuocoBlog:
www.poesia3002.blogspot.it, La speranza di futuroViene da chiedersi dove tragga ispirazione Roberto Mosi per regalarci un bellissimo poema di questo genere, proprio quando tutto sembra precipitare e sono tanti i segni di rivolta verso la scienza e la speranza di futuro.
Dopo averci portato in giro per i luoghi più rappresentativi della nostra moderna conflittualità e angoscia (“Gerusalemme, Ai confini del Messico, il muro di Berlino, Melbourne –‘Vento di sabbia trascinata / dal deserto soffia angosce / su noi al centro della città’ – Rio de Janeiro – ‘Volti in bianco e nero / abitanti della favela…sguardi fissi su di noi’) il poeta ritorna al tema che l’ha spinto a darci una speranza (…L’epidemia ha foderato di silenzio / i quartieri…giorni di speranza sorgeranno / al suono di nuove poesie, alla luce di nuove scintille d’arte”). E qui termina, nell’ode al Giullare (“…sbeffeggia beffardo greggi / di turisti / il lusso delle vetrine / l’ipocrisia della gente”) la parte che potremmo definire propedeutica, quella insomma che, dalle contraddizioni e dalle sofferenze del mondo, oggi smarrito nella nuova pandemia, ricerca nel risveglio dell’arte e della sapienza la strada maestra per il futuro dell’umanità. Ma Mosi non si accontenta di queste, pur esplicite, allusioni: egli sente il bisogno di ricordarci che l’arte, intesa come modo per sconfiggere le nostre paure e i nostri sentimenti di inadeguatezza, nasce, si potrebbe dire, con la stessa storia dell’homo sapiens. Infatti “Dalle origine dei tempi, rupi / muri dipinti, immagini…evocano miti, leggende / sono modi di comunicare / conoscere, vincere la paura”. Ed è bellissimo l’accostamento che mi sento di fare (Roberto mi perdonerà!) con l’ode a “l’infermiere in divisa bianca / Scala la montagna, una palla / di ferro al piede, la forma del Covid / Una mano sulla cima, cedono le pietre / precipita in basso, pronto a risalire”. Reso omaggio alla follia, intesa come ricerca di nuovi orizzonti e confini umani, il poeta giunge finalmente a “La grande porta sul fiume”, in questo caso l’Arno, dove solo leggendoli si possono apprezzare i bei versi di Roberto che, dai “Prati della Zecca vecchia” ci indicano la porta “aperta sul mito della scienza” e ci disegnano un percorso “che raggiunge Arcetri per il dialogo con Galileo Galilei sul destino dei pianeti, delle stelle” Nella seconda e ultima parte di questo godibilissimo libro, Mosi si scaglia apertamente, per mezzo di Prometeo, contro chi vorrebbe rinnegare l’arte e la scienza quale strumento di sopravvivenza e crescita umana: “Incontro Prometeo/ e il tempo del mio ieri/ nella città sull’Arno bagnata/ dall’arte e dalla scienza”. E non ci può essere conclusione più netta ed esplicita (“Il dio, ladro del fuoco, porge / ad Antigone la fiamma della scienza…Luci sempre accese nei laboratori / si alza pietra per pietra la diga / dell’immunità contro il contagio / Prometeo ed Antigone illuminano / la via all’uomo per riprendere / a vivere, per riconquistare l’amore”). Chiuso il libro, resta una forte gratitudine verso Roberto per aver trovato versi così belli che ci allievano l’animo in tempi necessari e ci spingono alla riflessione e allo studio della grande tradizione culturale e scientifica che dai classici ci porta fino ai nostri tempi e ci dona la speranza che l’uomo sappia ancora una volta sconfiggere il male. |
|
|