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La poesia di Lucio Zinna da Il Filobus a La Porcellana

Dall’ispirazione autobiografica anche Lucio Zinna (Mazara del Vallo, 1938) presto si allontana, la geografia privata appena un punto di partenza, rivelatrice in nuce una forma nuova per un discorso antico. Del poeta si è detto che simpatizzasse per il Gruppo 63 per la sua presenza alle manifestazioni pubbliche che la neo-avanguardia teneva a Palermo e per la pubblicazione nel 1967 delle prose poetiche di Antimonium 14. Certo Zinna si avviava verso una propria ricerca stilistica che non si esauriva esclusivamente sul piano formale; dirà infatti che ogni ricerca (...) non può essere fine a se stessa; resta qualcosa di sterile se non si risolve, globalmente, in una "operazione sull’uomo" (S. Mugno).

E dalla selezione della sua produzione, strutturata e confluita nel volume II verso di vivere [Caramanica, 1994), da II filobus dei giorni (Quaderni del Ciclope, 1964) in cui emerge uno stato emotivo e malinconico, a Un rapido celiare (Quaderni del Cormorano, 1974), passando per Sàgana (II Punto p.l.a. 1976) e Abbandonare Troia (Forum/Quinta Generazione, 1986), si coglie un percorso meditativo in cui impegno etico e un’elegante ironia assumono i contorni d’una dolenza confidenziale spesso mediata da pudore e discrezione. Se il linguaggio è intessuto di cose quotidiane e familiari nate direttamente dall'esperienza dell'autore (F. De Nicola, dall’introduzione) questo assunto è superato da un modulo espressionista e antilirico che sottopone l’esperienza soggettiva al filtro rigoroso del garbo e della misura, a bilanciare l’emozione con la ratio, per dire del "disorganico improvviso" di chi parte senza preavviso | colpito sull’istante, come dell’immutabilità del reale in Frammenti di una lettera a Monique, in cui il luogo (qui) e il tempo (sempre), sono avverbi d’ogni disattesa, d’una lucida disperanza.

Qui è sempre Palermo e trasciniamo | Monique, giornate di scirocco e rare | brezze, un incipit da epistolario in cui irrompe un blocco di versi dal registro più sapido: C'è un'accezione seconda del verbo | incazzarsi che vuole dire offendersi e | magari sboccare nell'ira. La prima − più nota − | accezione concerne l'erezione del fallo | e giustifica il modus dicendi discendere | dal fallo e proseguire a piedi (da Sàgana). L’escursione stilistica del poeta è mescolanza di toni, di espressioni che dalla quieta colloquialità sconfinano in un vivido pluralismo lessicale e sintattico con cui assembla o smembra stilemi derivati da fonti colte o da prestiti letterari. Le nozioni di memoria, difesa, resistenza hanno una tonalità energica spesso risolta in divertissement, in un sano piacere del gioco che ribalta e rinnega l’auto-commiserazione.

Qui | si deperisce − bellezza − centesimo a | centesimo raggio a raggio e incazzarsi | vuol dire difendersi sbocca re nell'ira. || Qui è sempre Palermo. Appassionatamente | ora ti bacio le mani.

Il morso ironico e amaro del mal di male rifiuta la tentazione elegiaca in materia di sicilitudine, tant’è che il poeta in Abbandonare Troia prende le distanze dall’identità offesa e avvia un discorso intorno alla verità della coscienza, alla necessità del fare nonostante ad ogni | bivio reale rivendica il caso il diritto ad una | compartecipazione alle scelte. | (...) | Opera tu per la tua parte | mettiti in guerra la coscienza − insisti stringi | i denti − per il resto (sia chiaro) la vita | è vita e va (per la sua parte) dove la vita vuole. Ché della vita abbiamo sonorità e silenzi mentre attraversandola ci attraversa e imprime il suo segno, la sua (la nostra) direzione. Al fruscio, al rumore coinvolgente della vita cosciente si sovrappone di necessità il pensiero della morte, l’incrinatura, ne La porcellana più fine (Sciascia Editore, 2001), ventiquattro testi come altrettanti stazioni nell'attraversamento (Rodolfo Di Biasio, dall’introduzione). Intravisto il confine, lo sguardo allungato dal qui all’altro dove, ora il pensiero è oltre il triangolo natìo, da cui scrivere a un amico di quante scelte furono obbligate per quello zero | di partenza. E la memoria è allora una somma personale, un bilancio quieto dell’esistenza e dei suoi sapori, odori, rumori tra cui il poeta si aggira nominando il tempo andato, le stagioni e ciascun giorno che ha la sua circoscritta infinità, nel reale che ha pesantezze e levità misurabili e tutto | pare spingersi oltre l'istante a rendere | l'oggi inossidabile. Illusorietà del presente che si estende ed è agito, vissuto fino in fondo: Finché nessuno pretende il rendiconto | puoi occuparti d'altro non chiederti | (...) | di che son fatti | gli attimi che precedono i verdetti.

Il lucido respiro poetico di Lucio Zinna non è dato soltanto dalla compatta sostanza memoriale che fa da perno ruotante a debita disincantata distanza dal proprio io, ma dalla sapiente miscelatura tra tenerezza amorosa e l’ostinato incalzare di domande vitali sul versante oppositivo, ovvero è germe o verme l'ora che ti scivola | sulla pelle sull'anima fino a farsi | lenta calvizie dell'essere? In quale clinica | si estirpa l'intransigenza il Deus vult?; e anche dalla esemplare energia introspettiva con cui sviluppa la nozione di attesa dell’evento che azzera una vita | sospinta morso a morso. (…)

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