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All’interno della struttura
poematica – inattuale, continua, visionaria – Diletta Sposa (poemetto
ispirato al “Libro tibetano dei morti”, Edizioni del Cenacolo, La Spezia 2003)
comunica una serie di trasparenze della salvezza incisiva, dolcissima, cruciale,
in cui l’essenza e la pronuncia della Luce diventano stato totale e
coinvolgente. Le 17 lasse si dispongono in una successione di “Improvvisi”
privati, struggenti, catartici, quasi un testamento spirituale rivolto appunto
alla “Diletta Sposa”, un po’ in stile salmico e un po’ in campionatura libera e
avida persino di insinuanti prodigi ritmici, e su interrogazioni non soltanto
poeticistiche ma teologico-coscienziali: Tu che sei la mia sposa diletta | e
m’hai guidato con amore e saggezza | fra le luci e gli orrori del mondo | sai
che presto verrà il compimento | della lunga mia vita corporale. | Ti ringrazio
per averla protetta | in questo viaggio e resa tanto felice | che ormai senza
timore né rimpianti | mi posso apprestare a lasciarla, | sazio di conoscenza e
d’amore.
Il metodo comunque è quello
dell’esplorazione intorno a più parvenze metafisiche, evocazioni tibetane dei
morti, la gioia delle connessioni spiritualistiche in cui il Poeta si riconosce
come persona umana e signore legittimo di ciò che delinea, ormai in un’abitudine
corrispondente all’evento religioso e al destino poetico volitivo, “aggrappato a
un effimero relitto”: Dovrai mia sposa diletta | lasciarmi andare, | così
come talvolta si lascia | in un oceano che sembra pauroso | la mano di un
naufrago a noi caro | aggrappato a un effimero relitto | ma che più non teme di
soffrire. Questa disquisizione poetico-sapienziale ha ormai un suo peso
nella fortuna e nella retorica delle scritture di Scarselli e non è mai una voce
smorta, o guizzo di istantanea supplica, bensì il riannodo alla severità e al
consumo inconsumabile del Credo, pur nell’emancipazione consustanziale all’atto
ispirativo medesimo. La colloquialità dei versi anela a codesta assidua
invariabilità di accessi, di doni, di suoni semplici e preziosi. La vera
luce, ch’è solo di Dio è diffusa ineffabilità compresa con un devoto
Leitmotiv sereno (in apparenza), coinvolge aree terse di movimento dialettico e
– nella medesima levità di pensiero – una cognizione meditativa del mondo
sull’altro Regno, la vita oltre la morte: Ma anche la piccola luce | che ami
e conosci della mia anima | è nata da una Luce infinitamente | più grande, che i
miei sensi ciechi | possono soltanto indovinare | oltre l’orizzonte della vita.
La sopravvivenza qua e là ha bisogno di soluzioni, anzi di indici didattici, di
mordenti fervorosi, per spingere una vocazione in tutto anche realistica e più
volte guidata alla dimensione divina, immaginata esperienza dell’essere, non
sibillino o troppo inquieto. La stessa misura che la poesia, assai diversa da
innumerevoli linguaggi elaborati per l’Adesso e l’Effimero, adesca (si fa per
dire) con un genere di tensione poematica morbida, accolto fra il possibile
canto e la voce, nel vincolo e nella frequenza di riuscire ad attraversare il
labirinto e la letizia scritta, qui fissata per giusti abbagli e per potenza
d’amore, ed è là che il lettore trova il sottile indizio del grido: Dovrai,
pur essendo mia sposa, | esortarmi a scordare anche i ricordi | più teneri e
cari, anche quelli | delle cose che un giorno con affetto | chiamavamo coi nomi
dolcissimi | di alberi, erbe, animali, | ed erano appena illuminate | da una
fioca bellezza materiale: | i Maestri hanno detto che non sono | che ingannevoli
sostanze impermanenti, | non la via per riconoscere la Luce | cui devono tendere
gli spiriti | che agognano a librarsi leggeri | al di sopra della vita corporale.
L’anima stessa diviene instabile e
fluttuante nella varietà di illuminazioni esplicative, condotta nei versanti
della riflessione non fioca né saltuaria, come accade a certi poeti, ospiti
casuali della Grazia e imitatori del viaggio verso l’Assoluto, qualunque posto
occupi la qualità tematica o la solitudine da cui in tanti ripartono. Su tali
ocre ormai Veniero Scarselli affida – già da molti anni – questa rosa alla
sottile maniera di abitare il quotidiano, le tensioni intime, il mistero del
risibile disumano. Dalle varie orbite del poemetto si scorge una verità, in
parte risaputa, in parte trascurata o imperdonabilmente dimenticata. E così egli
non nasconde mai la biografia dei suoi limpidi tragitti (contro qualsiasi
drago), e in essi ascolta istanze e allegorie che in effetti si fanno imparziale
logica di un denso abisso.
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Recensione |
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