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Poesie a mezz’aria, nella loro sontuosa icasticità, si
affidano all’estremo calcolo di una silloge di conflitti individuali, non
elegiaci, né metaforici. Lucio Zinna elabora infatti una controllata vicenda di
sezioni all’interno di essa: “Transiti”, “Legami”, “Trittico per l’una”,
“Insolarità” (incisivo ed eloquente suo neologismo), “Stanze agiografiche”. Egli
quindi non recita sinfonie virtuali, né canti primari, ma delinea, nel verso,
una spontanea disponibilità alla chiarezza significativa il più corretta
possibile, e cioè priva di trame, metamorfosi speciose o irrealtà sparse dal
pensiero personale, a cui allude l’intrinseca creatività, in ogni caso, per
indole emozionale (o demone interno?) deforma, per farsi leggere meglio, una
continuità di linguaggio, che fa rintracciare i massimi segni della ricerca,
dosando proprio la strategia delle parti come più opportunamente si riconosce (e
s’inscrive).
A
“mezz’aria” imita il salto fra il terra – terra e la corvetta, nel segno
dell’equitazione, e spinta o lancio del suo metodo d’intervento alla medesima
professione di fede alla poesia. Il messaggio e il discorso dei fatti si
inalveano – nel sangue della cognizione del poeta – in un’elettiva felicità
comunicativa e linguistica scrupolosa, responsabile, reinventando se stesso
proprio attraverso la selezione dentro cui si annuncia una biografia timbrica,
così come il ritratto del Presente e – insieme – quella libertà riflessiva che
presiede all’interno e teso contatto con gli eventi, le arguzie, le deduzioni
correttive, oltre i possibili grovigli della narratio. Ecco infatti “le
frettolose fragranze”, gli “effluvi di domestica consuetudine”, “la dolcezza dei
sorrisi “, “visto e considerato che passa tutto (anche il futuro)”.
Indubbiamente la forma della sicilianità è colta nei suoi effetti fiabeschi e
semplici, razionali e – nel clima dimesso e imparziale – quelli di una
sintomatica storia del mondo, a necessaria ironia e su riavvio di oppositive
alterazioni di evidenza. E, fra le diverse motivazioni indiziarie, il lettore,
qualunque sia la caratura o la formula di attenzione, ritrova una sincera
disponibilità di Lucio Zinna a raccontarsi, propositiva ed esperienziale, mai
uniformata alla liricità e al pathos ad ogni costo, quando intendono salvare
idilli e spasmodicità di ovvi sogni ed elezioni del sentimento, comunque labili
e prorompenti. E, “in direzione dei suoi altrove” mentali, organizzati per il
verso, riannoda contingenze quotidiane a cronache ineffabili (leggi per tutti i
tramiti esistenziali, i poemetti in causa: “Per Vincenzina”, “Per quattro
gatti”, “Per Madre Teresa dei gatti”, “Per Maria Eufrasia Pelletier”).
E,
studiando i segni di costruzione e di configuratività espressiva, nei testi è
intelligente quel tanto che Zinna elimina nella sua scrittura per fondare quei
privilegi di contemporaneità e di etica che caratterizzano l’intera produzione
poetica, e quindi in cifra estrema. Contro ogni retorica o umile e spicciola
dettatura di verità ingenue, tra l’altro, essi incidono sulla linea che egli
intende dare alla poesia del reale, che insegue (e convoca) duttilmente nel
percorso recente, qui così bene antologizzato, nelle diverse caparbietà di stile
conversativo, non astratto o manierista, e tutt’altro che distante da qualsiasi
lettore. Probabilmente perché la maturità referenziale diventa umana e
sensibilmente naturale e prudente, e intanto per “autotutela della vita”,
“all’algido fuoco della sofferenza” privata e/o comune a tutti noi. “Con
cartesiana chiarezza ed evidenza”, Zinna inoltre garbatamente introduce intenti
acuti della conoscenza, ed è in ogni caso in grado di gestire una responsabile
strategia civile e culturale, conferendo ai versi quel genere di fermenti
testuali complessi che animano un ascolto di splendidità, intrisi d’insieme e
per squarci a valenza metamorfica, la cui varietà conseguente sembra mimetica e
casuale, ma è in tutto essenziale e ghiotta!
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Recensione |
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