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Àlighe
Il fasto del grigio nel lunario dei giorni dell’anima e lo
smalto di toni bassi con perizia cesellati sono il senhal più evidente
nella produzione letteraria di Roberto Pagan. Attraverso la geologia etica della
memoria si fa strada il carso poetico; la gnomica dei toni sermocinali si fa
metafora. Chiaro allora l’intento: chiaroscuro il vivere che un poco il veleno
degli altri marchia di una risata di gelo. Sospesi grìzoli de la memoria
offrono così al poeta l’opportunità di sorvolare la storia e di far rivivere,
come agli elefanti, il peso dell’ombra, fiorita nel chiassoso silenzio della
tribù, matassa di squillante modernità seriale. Lo scudo dell’oplita e mai
dell’eroe è, dunque, il petèl vernacolare, la grammatica della notte che
dice lunalbe. Roberto-Robinson si vede appunto come un marziano lucido, ma
inattuale. E son come Robinson | sentà sul relito | le bote che naviga
intorno | imbriaghe d’alighe. Ripensa forse all’epigrafe di Saba, che chiude
il Canzoniere. Parlavo vivo ad un popolo di morti. | Morto alloro rifiuto e
chiedo oblio. E proprio Saba, in Idrovolante è ricordato come un
nume e un nome nella nebbia di una mitica generazione di autori, come Giotti,
Stuparich, Pittoni, fantasmi di una giovinezza schiva, ma piena di speranze
letterarie di un futuro creatore di gnomiche sillabe ed ora di giudiziose
ciàcole.
Se po’ me meto a pensarme in
dialeto | ‘sta lingua che più no se parla | che nessun no capissi, me sento
stranido, me vien mal de mar | paura me vien de i fantasmi | che no i se
dismessi nel scuro | nel fondo de mi.
Pagan
non coltiva alcun intento di mitizzare il passato. Vi è anzi smascherata con
graffiante ironia la retorica dell’onta nazionalista della grande guerra, vista
nel filò memoriale delle voci parentali marginali testimoni di massacri di
innocenti oscuri e poi dell’orbace, di cui si coglie, con sguardo ironico,
il burlesque di regime, sempre filtrato dalla memoria dell’infanzia e di
scolaro. Un barocco senza oro dunque quello delle alghe, che, sin dallo
straordinario Baleto iniziale, in sestine di senari, si dipana nel
Ciaroscuro dei lutti più intimi. Sempre resi in tono colloquiale, la
plastica etica dei ricordi ritorna nelle vosi di cose con l’anima, di un
mongòmeri o della coralità ittica di Santa Maria del Guato, o umane
nello squero, tra tutte quella del più autorevole quella del sior
Vergilio, un secolin brusà com’una pigna. | El parla raro e a scati, ma se ‘l
verzi ‘l beco | xe proprio un capo indian. Un bell’esempio di genealogia di
ritratti in vernacolo, reso con piglio epigrammatico! E il dialetto aiuta
l’autore che elabora, con colta ironia, finanche una Dialetica del dialeto.
Nel libro, vincitore del Premio nazionale di poesia in dialetto Città di
Ischitella-Piero Giannone, 2011, infatti la ricchezza delle sonorità e dei
piani fonici scaturiti dall’animo e dalla testa dell’autore regalano percorsi
emozionali profondi. Dopo varie e pregevoli esperienze di poesia e prosa in
lingua, Pagan riscopre con forza i richiami al proprio carso interiore e fa
zampillare sferzate di memoria, con piglio talora oraziano, tra i mona
della Penisola unita, forse vie più dalla refrattarietà del ricordo e della vita,
intesa come patrimonio vivo e non antiquariato per tarli! Ecco allora da una
sorta di nuova Ripafratta le brevi e dense confessioni di un italiano d’oggi
che il tempo di ieri regala tra ringhi e sorrisi.
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Recensione |
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