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Il vento dei ricordi sulla pagina…
Un’anarchia dello spirito, il blog dei ricordi del corpo e dell’anima, così
s’intesse di prose e versi, ruscellando pagina dopo pagina, l’ultimo libro di
Antonietta Tiberia, Calpestando le aiuole. Il tratto più evidente ed
originale dell’opera mi sembra la consapevolezza della misura ricca della
semplicità. Emerge, specie nei racconti brevi, il colore di un sentimento più
profondo, in cui sovente la nostalgia si bistra di pungente ironia. La parola
si fa freccia, sia che si tratti di rievocare emozioni di sentimenti, si vedano
ad esempio le prose iniziali de un’ora per toccare il cielo, che memorie
personali e collettive, quali affiorano in C’era un sole che spaccava le
pietre.
Lo stile, denso anche di proverbi e di frasi in vernacolo ciociaro, rivela,
nell’orizzonte biografico e memoriale dell’autrice, anche un sostrato di
problemi di natura sociale ed antropologica di un certo spessore, ma essi
vengono, per così dire, giocati sul filo della schietta e non meno graffiante
forza delle cose comuni. Si pensi alla tematica delle migrazioni , un tempo
verso la Merica, poi venne il Nord ed ora… i nuovi flussi, scalzi i
colori della miseria e della violenza, vestono le carrette del mare che in un
cielo di sale trovano riposo, non se ne parla esplicitamente, ma alle tragedie
del presente si guarda e si fa riflettere il lettore di storie di quelli che
Gian Antonio Stella ha chiamato i neri d’Italia. E la guerra , ieri come oggi
deprecata da madri e spose (a sostener la guerra sono quelli | che non la
fanno, ma la fanno fare. | Solo i morti hanno visto | la fine della guerra),
è l’ Abc della guerra, il canto contro tutte le guerre che Brecht rende
universale nella globalizzazione dei conflitti. Questi temi vengono resi
dall’autrice con la ruvida volontà di ricordare. La retorica mirata non veste,
ma dà sostanza alla parola, che, spesso anche in poesie facili ed orecchiabili,
filastrocche e schizzi campestri, rivelano una complessità leggera . Il tempo
rurale della civiltà contadina è parimenti scandito dai fiori e dal sudore
del lavoro e del sole. La satira politica, in chiave
unitaria, si rivela, abilmente ne la secessione, il che fare dei poeti,
se nel vocabolario ci fosse solo la vocale I ,apre polemicamente la raccolta.
Suggestiva infine la dimensione religiosa che si verifica nella breve ed
intensa poesia La chiesa di Richard Meier, “A Tor Tre Teste | tre vele bianche al vento
dispiegate | e | cinque campane protese verso il cielo.”
ove il gioco dell’allitterazione della dentale
T, sradica verso l’infinito con le labiali e le fricative, sortendo magicamente
il tocco della poesia. In E’ caduto l’albero grande, la Morte e il tema
esistenziale son resi con un verde interrogativo che si riconnette ad una
geografia di memorie familiari e popolari in prosa , si pensi alla Sfratata.
Storia volutamente straniata in un’impersonalità che guarda al Verga. Tutti
questi elementi costituiscono l’erba di una scrittura che non va calpestata in
quanto è il colore di una vita agra che profuma di speranza, un dire che si fa
canto del cuore.
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Recensione |
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