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Prefazione a
Le mie radici
di Antonio Bicchierri
la
Scheda del libro
Pasquale Carone
Sincero, caldo, accorato omaggio alla sua
San Giorgio scaturisce da questa raccolta di liriche che il poeta Antonio
Bicchieri ha voluto dedicare alla sua terra. E Antonio, come ogni poeta che si
rispetti, ha cantato, nella forma classica che lo contraddistingue, le sue
radici, le sue origini; ha cantato la terra che gli ha dato i natali: terra a
cui resterà eternamente legato (“Ti starò sempre vicino | con il cuore”)
e della quale si porta nell’animo i colori, i profumi, i sapori. Paese agricolo,
San Giorgio, “forgiato dal duro e continuo lavoro | dei contadini, ricchi
della propria | umiltà e semplicità” dice. E l’amore per il paese natio è in
simbiosi con l’amore per la “bucolica campagna con vigneti calienti
| e
uliveti secolari”, quasi a proteggere “come sentinelle nel tempo” …..
“dal Belvedere silente” l’azzurro mare tarantino. L’aggettivo bucolico,
tanto amato da Virgilio, ritorna spesso nei suoi versi quasi a sottolineare e a
rimarcare, a gran voce, la fragranza di questa “aspra terra | cedevole al
solco | del sacrificio”. E anche quando la sua esistenza avrà fine, la
vedrà “dall’alto nel sogno incantato | di un’alba senza fine”. Versi
pregni di sincera e genuina passione. Vedrà la sua San Giorgio come un’aurora
luminosa, perenne, infinita.
Doveroso è anche il riferimento ai
suoi avi, ai quali la nuova generazione “proiettata verso il futuro | nella
modernità e nella tecnologia” sarà sempre grata per il loro esempio di
operosità, di tenacia, per la loro orgogliosa fatica costellata di sacrifici non
sempre ripagati. “Quest’afflato mio sognante | interrompersi vuole
| per
volare | nella spirituale essenza | dei nostri padri | verso le nostre radici |
la nostra storia”. Una storia che vede protagonista quel “cavaliere
errante” che operò con “onore e virtù”. Chiara l’allusione a San
Giorgio Martire “armato di coraggio | nell’uccidere un drago | diabolico
simbolo | di un malefico presagio”. La lirica dedicata alla festa del Santo
Patrono è una sequenza di immagini vivaci, multicolori che ci riportano a
quell’atmosfera festosa che si rinnova ogni anno in uno sfavillio di “cassarmonica
….. di bancarelle illuminate | di nucedde e cupeta…. di fragorosi botti”. La
luce che traspare dai versi si attenua, poi, lentamente fino a spegnersi del
tutto quando, finita la festa, “sommesso il rientro” renderà più
malinconico il pensiero che il giorno dopo riprenderà la dura fatica della vita.
Facile l’allusione “…ed al travaglio usato | ciascuno in suo pensier farà
ritorno” verso di leopardiana memoria. Ma contrariamente al poeta
recanatese, che dal monte Tabor con l’immaginazione va al di là del limite della
ragione per provare dolci sensazioni “naufragando” nell’infinito, Antonio
si inebria non con i giochi di fantasia, ma con la realtà, ammirando dal colle
Belvedere “calde aurore”, “rossi tramonti” e quello stupendo
scenario costituito dalle Tagghiate, “corollario del mio paese natio”.
Nei versi dedicati a questo paesaggio surreale, un tempo luogo di dura fatica, “dagli
anfratti | rugati dal solco | e consunti dal tempo”, la poesia di Antonio
raggiunge livelli di alta liricità. Le Tagghiate diventano mera poesia, musica -
starei per dire - quando “Lontano | in brandelli di gole | erose…..si ode
un’arcana voce | diffondersi | nel sussurro lieve del vento”. Sono, a mio
avviso, i versi più belli di questa raccolta di liriche. Quella voce, che sembra
la voce del vate Omero che interroga nei “Sepolcri” del Foscolo le tombe dei “prenci
argivi” e che si diffonde per tutto l’universo, è la voce degli “Zzuccaturi”,
la cui eco risuona ancora “nell’amaro sogno | di una vita spesa | nella
speranza e nell’attesa”. E la speranza degli orgogliosi lavoratori di queste
“cave zuccate | cu lu zzueccu e lu ruezzulu | cu li cugni, la mazza e | la
paramina” si sposa con la speranza di Antonio “che il tempo | e l’umana
volontà | ti sapranno consegnare | alla storia | con un futuro di miglior gloria”.
Ed è la speranza anche di tutti noi: veder valorizzato questo patrimonio che
appartiene alla storia sangiorgese, purtroppo oggi in completo degrado ed in
decoroso abbandono. Scenario in cui per “un breve attimo | di quell’arguta
intuizione” di qualche volenteroso, aggiungo io, si rappresentò la Passione
di Cristo il cui ricordo provoca ancora emozioni.
Ma gli “Zzuccaturi” sono solo
un elemento della storia di questo paese, perché altre figure la popolano nelle
liriche in cui Antonio canta gli antichi mestieri, riportandoci indietro nel
tempo per rivivere un passato che non ha smarrito, nonostante la tempesta
tecnologica, la sua identità; un passato che è ancora vivo, anche se ingiallito,
nella memoria di tutti noi, fanciulli allora, oggi avanti con gli anni,
purtroppo. E quasi si avvertono nei versi del nostro poeta ancora “lo
scalpellio del ciabattino | il battere sull’incudine rovente del fabbro”
quelle del maniscalco sullo “zoccolo duro del cavallo”, gli
odori accattivanti de “lu furnu di Ratodda o di Adelina”, i proclami del
banditore, gli inviti del carbonaio per acquistare la sua “cinisa bbona”,
del seggiaro e dell’arrotino per servirsi della loro “maestria”. Versi
intrisi di “memoria e ricordi | nostalgia e sentimento”, accarezzati da
toni pacati di soffusa tenerezza.
Liriche pregne, poi, di sentita e
commossa religiosità sono quelle in cui Antonio prova ancora emozione nella
chiesa Maria SS. del Popolo, nella quale ricevette il primo Sacramento, quello
del Battesimo, in cui “trovai la luce” e dove “si permea in me
|
l’incontro con il Divino” e nella quale, aggiunge, “si ristora la mia
anima”; e nell’altro tempio,la Chiesa Nuova, la Chiesa Maria SS. Immacolata,
dove “di luce | irradiate furono poi | le mie tre ragioni di vita”.
Allude a tre momenti particolarmente significativi della sua vita:
l’accostamento al Sacramento della Comunione delle sue figliole. Chiesa “il
cui rintocco di campane | puntualmente accompagnano | il mio andare | allo
spuntar di ogni nuovo dì”. Sembrano versi di altri tempi quando la civiltà
industriale e tecnologica non aveva ancora cancellato l’innocenza fresca,
sincera e genuina della vita di un paesino del nostro Sud. Ma quando la memoria
va a rievocare quella processione che partiva, un tempo, da quel Sacro Luogo
della Madonna della Croce “fra balconi e luminarie | su tappeti
vellutati | di freschi petali profumati” sembra che il tempo si fermi e che
quel ricordo vada ancora oggi ad allietare l’animo del nostro poeta.
Poesia della sua terra, dunque, ma
anche poesia inevitabilmente della memoria. Antonio, però, non resta ancorato al
suo passato, tutt’altro: in lui c’è la speranza di vedere San Giorgio uscire da
quell’ “insolito letargo” che “ti avvolge”. Basterebbe, dice, che
si operasse con “volontà, amore e tanta passione” e bandire ogni “egoismo
e materialismo | tarli dell’umana coscienza”.
Non si può,
quindi, non restare commossi e incantati leggendo le sue splendide liriche,
perché toccano l’anima e richiamano ricordi mai sopiti.
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