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Bonsai
Una poesia essenziale
Esiste un filo conduttore tra
le opere precedenti e quest’ultima, attraverso il quale si evolve un discorso
continuativo, il cui sviluppo graduale permette all’autore di presentare, in
maniera ampia e completa, le problematiche esistenziali, verificate però
allargando l’indagine conoscitiva verso uno spazio vivente più vasto, varcando
così definitivamente la cortina di silenzio che protegge i pensieri,
privatizzati dalla paura di scoprirsi e di scoprire le proprie debolezze.
Tramite l’analisi accurata
di situazioni e di vicende personali, il poeta giunge, dopo ulteriori
riflessioni, ad un riscontro dalle caratteristiche universali quanto mai
evidenti. È un perpetuo travaso di lucide e razionali conclusioni, viaggianti su
un binario unico, che inizia e finisce senza fermate secondarie. Si tratta della
ricerca di nuove formule, per mescolare e coordinare le parole, ottenendo con
manovre da abile alchimista, uno stile raffinato, di grande effetto compositivo
e terminologico. Esso rende la poesia essenziale, depurandola da inutili e
superflui involucri strutturali, che, di norma, la appesantiscono con zavorra,
utilizzabile soltanto per il galleggiamento persistente, di certe tendenze e
correnti letterarie ormai stantie. Ma l’elaborazione operata dall’autore, se da
un lato rende agile e scorrevole la scrittura, raccogliendo valide ipotesi di
sempre nuove sperimentazioni logiche, dall’altro propone una poesia che, al
primo impatto, sembra fredda, difficile, chiusa, ma, dopo una successiva e
attenta lettura, rivela aspetti di notevole interesse. S’insinua tra i versi una
sottile e discreta velatura intellettuale, tessuta nel tempo con pazienza e
tenacia, del resto, alquanto naturale, considerata la costante e ininterrotta
permanenza del poeta, nell’ambiente letterario.
Si aggiunga anche il
persistere di un leggero strato d’ironia, addolcito dai ricordi, ricostruiti e
rivisitati insieme ad alcuni avvenimenti legati al mal risolto meridionalismo, o
meglio, meridionalità, tanto pesante da sopportare perché sempre imposta
dall’alto, un’isola dentro l’isola, dove si attende ancora la libertà dai
cosiddetti liberatori-conquistatori, senza capire che è necessario trovare
dentro di sé la capacità di liberarsi («Preghiera per i liberatori»).
Il simbolismo è un’altra
arma, sciorinata dall’autore per mettere a fuoco quelle che sono le
caratterizzazioni umane, cercando una possibile classificazione («Gli
irreversibili»). Ma il rivelare le gelide e ostiche realtà della vita, accende
il desiderio di fuggire in una ipotetica «Casablanca», giardino, eden di
«Palmizi bianchi» e «Bianchi palazzi» dove si confonde il passato vissuto, con
la voglia di vivere, seppur meno intensamente l’improvviso flash nella memoria
di rievocazioni frammentarie, che impreviste tornano, ospiti del pensiero, sotto
forma di brevi ritratti, istantanee riviste in piccole sequenze alternate.
Restare dunque, e affrontare l’enorme cosmo cittadino, vivere, e sentirsi in
trincea tutti i giorni, immersi in questa urbana follia, oppure scappare? È
difficile fare una scelta, sempre che esiste ancora la possibilità di scegliere.
Per Zinna il dilemma continua, forse non c’è soluzione, forse bisognerebbe
inventarla, ma non è detto che in seguito il poeta non ci riesca.
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Recensione |
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