| |
Nel delta della vita
Corpi inafferrabili, fra presenze e
silenzi, costituiscono la poetica di Raffaele Piazza
Se è vero che gli uomini, come ha detto
Wallace Edgar, amano proprio ciò che è inafferrabile, tale affermazione trova
la sua piena collocazione nella poetica di Raffaele Piazza il quale, anche in
questa raccolta, “Nel delta della vita”, conduce i destini umani, lungo
paesaggi le cui forme sono sensibili ad una condizione in perpetua metamorfosi
- Tutto l’imprevedibile pensato e l’inconoscibile proveniente da altri luoghi,
può irrompere in pochi istanti sulla scena, entrare in azione anche
drammaticamente e sfocare ruoli, piani, obiettivi, desideri, progetti e
aspettative -
La raccolta, come un fiume in piena, segue e si disperde lungo un
corso che nessuna traccia ne faceva prevedere il transito - Ne conseguono
smottamenti, accrescimenti, secche, sospensioni inaudite su rovinose alture e
sprofondamenti del delta gonfio e terribile, sull’orlo dei rovesci e sui
sottofondi che stentano a palesarsi, ma di cui si avverte dentro, il vuoto -
Solo il pensiero evolve, oltrepassa e muta, consapevole che vita e morte,
niente e tutto, amore e dolore, bene e male, sono incognite disarmanti nel loro
divenire e, maggiormente le attese disilluse, procurano voragini che nessuna
congiunzione postuma potrà diversamente colmare -
Carico di bende, il testo
composto di cinquanta liriche, appare come un campo di figure dinamiche che
inserite nella traiettoria sapientemente condotta dal poeta, prosegue fino in
fondo il suo mandato lievitando, per ogni nuova espressione dell’essere e
dell’accadere, flussi enigmatici che la necessità di controllare, filtrare e
soprattutto vivere i tanti umori in gioco, apre a nuove conformazioni e idee, a
nuove posizioni e propositi vitali - Piazza, continua anche in questa raccolta
“Nel delta della vita”, ad affidarsi a figure femminili che lo accudiscono nel
legarlo all’acuminato quotidiano, soprattutto spargendo sorrisi e amore, come
incandescente follia a cui rubare i benefici dei sensi il cui discioglimento
vive in maniera sublimante nei corpi e li incardina carnalmente -
Mirta è
l’amica annidata in mente all’autore, è figura inafferrabile in quanto non è
più fra i vivi, ma oltremodo carica di autenticità, di mistero che lungo il
viaggio può sviare chiunque a circoscrivere la storia che sembrava attuarsi con
“regolare transito” e avanzare con aberranti incursioni non sospettate, ma
forti, più forti di tutti i vissuti, nella possibilità di sentenziare realtà
insospettabili - Selene, sposa e amante, conduce il poeta nel tempo passato; un
tempo che insorge dal nulla svelando superfici e fatti, significati e
avvenimenti in contrasto, anche distorto e oppositivo, a quanto il poeta
chiedeva di vivere e respirare come brezza che lenisca tremori e paure -
Vivrà
il poeta nella rivisitazione mnemonica, le rispondenze sensoriali sottili e
differenti ad ogni impianto che si era configurato di realizzare nelle dolci
illusioni o finalità profonde, intime e imperscrutabili di creatura umana -
Chi è il tiranno, chi è il nemico che sventa i progetti più seducenti agognati
dall’uomo? Il poeta Piazza gioca a carte scoperte con il tempo, lo reputa
tiranno, nemico!.. - Egli non può accettare che la sera precedente Mirta,
l’amica morta suicida, ha parlato con lui, ha riso con lui, il suo corpo, come
misura senza peso ha vibrato nell’aria, illuminato dalla luna, addirittura ha
contagiato con il suo brio, suadente, leggero, ma reale, quello di lui e...,
poi, doversi capacitare, il mattino dopo che Mirta non c’è più, perché ha
messo in atto il suo desiderio invisibile ed orrido, disumano, di porre fine
alla magnificenza dei sensori che la tenevano salda, nel suo corpo carnale -
Non avrà più movenze, né leggiadria, quel corpo… Non pronuncerà più cenni di
gioia, di amore, né tristezza dolce e umana che il poeta amico corrispondeva
con affinità di sensi e bellezza! - Più nulla! - Ora sei cenere Mirta, e
potevi essere/felice come noi nel ristorante dei vivi/in soave connivenza
a giocare “Una donna per amico” - Poi nessuna vicenda necessita di dire
che niente è come avrebbe voluto Mirta che fosse, niente si ferma
e…, pànta rèi, tutto scorre, Eraclico - Solo resta la vita a testimoniare
sé stessa nella certezza che tutto muore -
E’ un linguaggio dalle declinazioni
visive, spaziali, ritmiche, quello che il poeta predilige, per cantare il
distacco con risorse immaginative che mentre fluiscono sotto agli occhi,
conducono la mente come piccola torcia, ad illuminare il punto in cui Mirta è
avanzata, segnata o predestinata ad incontrare la fine, differita in modo
dolorosamente anomalo, rispetto alla fine di tutte le cose - infatti il
problema metafisico della fine, secondo Kant, è il problema fondamentale
attraverso il quale si pone la questione relativa al senso della storia - La
vita dunque che si suole far passare dal tempo vitale terreno, all’eternità,
non trova in Kant, tale concetto plausibile, in quanto la dimensione
dell’eternità sta a indicare un tempo che non intacca la morte, la quale quando
avviene, annulla il concetto di eternità riferibile al tempo! -
Vita, amore e
morte si raccordano nella poetica di Raffaele, attraverso un potenziale di
folgorazioni e creazioni, di armonie e sogni, tutti proiettati verso la
condivisione delle azioni che l’anima contiene e innalza sull’umanità, come
destino comune che solo la parola può recidere, sconnettere e sovvertire nelle
dinamiche consuete, fino a esistere nel silenzio scolpito di marmo - Resta la
memoria del poeta, il solo combustibile sensoriale, propagatore delle
pronunce infinite e necessarie a spaziare nell’ immenso, la scena oggettivata
dalle parole, nella necessità estetica di azzardare fusioni e vivificare la
pratica eccezionale della poesia -
L’inesauribile, dunque, viene ad apportare
al centro del pensiero di Raffaele, l’evoluzione perpetua di fattori innovativi,
di visioni e entità esistenti oltre tutti i pensieri e disegni che rivoltano
luoghi e rifrazioni, sulle punte delle dita rovesciando immagini, vissuti,
disposizioni e programmi, in un disorientamento condiviso da tutte le forze
dell’essere, lasciate sui cigli del tempo, a cristallizzare altri nomi, altri
amori, altre fisionomie del futuro e del suo significato impronunciabile -
E continuiamo…/ Nel meriggio annegando nella luce / bianca come una tenda tendo
al / canto dei volatili tra le pesche degli / alberi d’aprile - Vorrei i rosa dei
frutti nelle tasche / tingermi e farmi un vestito di tramonto/o le guance sul
viale della ragazza / siano le melarance per dissetarmi / intraviste le sue
lunazioni dal vetro di / verdi occhi tra i corvini capelli pari a / finestre sulla
città aperte che disseta e/sale …
| |
 |
Recensione |
|