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L'elemento estetico che contraddistingue la poetica di Onda per onda e di Parole d'ombraluce – a parer mio – sta nella mirabile fusione di classicità e modernità, sapientemente rimesse a una sintassi trasparente, essenziale ed equilibrata, che gronda di significanza. Ravviso nell'autrice robuste radici greco-latine del genere lirico, da Saffo, quasi empaticamente evocata, a Ovidio; ma anche ascendenze dannunziane (stupendi gli squarci panici in talune sue pagine) e montaliane. Una poesia – quella della Busca Gernetti – dotta, oltre che ispirata, che recupera molto opportunamente il fascinoso mondo della mitologia. Essa merita (ed avrà) una collocazione visibile, di rilievo nel panorama letterario contemporaneo.

Venendo ai due volumi, e partendo dal più recente (per anno di pubblicazione), ovvero da Onda per onda, dirò che mi va di definirlo "sinfonia del mare", da dedicarsi a Poseidone, prima ancora che a Carlo Michelstaedter. La silloge, che assembla per via dell'unità tematica liriche già pubblicate in precedenti raccolte, offre un assetto metrico libero con una sua inedita musicalità e un andamento ritmico brioso e gradevole.

Articolato invece il discorso su Parole d'ombraluce, testo nel quale si contano sette distinte sezioni diversificate per ambiti d'indagine, dove tuttavia l'unitarietà è garantita dal sottosuolo umano e culturale della poetessa, e dalla consumata perizia con cui la medesima gestisce l'impianto linguistico-espressivo dei canti.

La prima delle summenzionate sezioni titola Aegritudines, le cui pagine sembrano denunciare un taedium vitae direi quasi di preoccupanti dimensioni. Diffuso nei versi il malessere di chi dopo un sofferto girovagare nei meandri dell'insondabile mistero dell'universo si ritrova nel buio più fitto, senza neanche più la percezione della propria identità. Un disagio esistenziale dunque quel che trapela, la cui genesi mi sembra essenzialmente filosofica, anche se non sono da escludere motivazione storiche e sociali. Quanto a Luce in Calabria, di cui alla sezione seconda, il paesaggismo che vi si coglie è motivo solo apparente. In realtà è l'io della poetessa con le sue tensioni, coi suoi turbamenti, col suo dolorante immaginario a permeare di sé toni e significanze di ogni singola pagina, anche di quelle che sembrano segnare una pausa di quiete panica. Ne deriva una rappresentazione dell'elemento oggettivo di suggestiva bellezza, filtrato com'è – l'elemento – attraverso le maglie di un soggettivismo lirico di forte spessore artistico. La terza delle sezioni – Il tempo, la memoria, la poesia – si propone come un consuntivo esistenziale condotto tra malinconia e speranza. E la malinconia si genera da una vita che si scopre non vissuta in pienezza, condizionata da un temperamento di stampo – per così dire – leopardiano. Ma la Memoria e la Poesia eternatrice, che vince di mille secoli il silenzio, aprono spiragli di sopravvivenza oltre il nulla eterno, sicché l'oraziano non omnis moriar è – dalla poetessa – più che legittimamente assunto ad auspicio di fama nei secoli a venire. Poesia civile invece quella di Macchie d'ombra, i cui versi rendono lo stupore doloroso, e la protesta, al riproporsi periodico del biblico fratricidio. Qui l'autrice, ben memore del padre caduto in guerra, oscura il suo "io" per dare spazio ai martiri di tante atrocità, dai vili attentati in terra irachena ai campi di sterminio, alle foibe. E la protesta si fa cosmica quando son chiamate in causa la furia devastatrice dell'oceanico tsunami e l'inammissibile "distrazione" di Dio di fronte alle stragi di bambini senza colpa.

Segue Epicedio per mia madre: un dialogo pacato e serrato insieme, con la madre estinta. Dialogo intenso, dove s'adombrano passate incomprensioni non già da carenza affettiva, quanto piuttosto da difficoltà di natura caratteriale e forse generazionale. Se la tensione spirituale che anima senza fasi di stanca il testo la si potesse rappresentare con un diagramma, certamente il tracciato segnerebbe in tale sezione il più vertiginoso picco. In Luci ed ombre della Natura, delle sezioni la penultima, affiora un bisogno di tregua dalle conflittualità interiori che connotano il percorso esistenziale della poetessa; il che pare potersi cogliere in taluni eventi naturali rappresentati e partecipati con un senso di interiore serenità. E' il caso di giardini e campi fioriti, di splendidi meriggi lacustri, di floridi vigneti autunnali, di dannunziane greggi transumanti. E il melograno ferito dall'ascia e prostrato al suolo, che tuttavia un tratto di tronco non del tutto reciso ancora lega alla vita, è metafora di un vitalismo che ancora regge all'usura delle avversità. Ultima Amores. Vi si celebra, non diversamente dalla tradizione, il nascere, il consolidarsi del sentimento d'amore, poi – dello stesso – l'esaurirsi nell'indifferenza. Ma al di là delle singole vicende sentimentali, che sorgono e tramontano, l'Amore rimane forza vitale intramontabile:

Non può morire la forza vitale
Che l'universo genera e sostiene

Il compiersi – a questo punto – della disamina dei sette ambiti lungo i quali si srotola l'ispirazione poetica chiarisce il titolo della raccolta, e il perché di Parole d'ombraluce. Veicolo, infatti, di ombre e di luce sono in definitiva le parole della scrittrice piacentina. E se le ombre sono proiezione di un itinerario di vita sofferto, segnato da eventi che marchiano indelebilmente l'anima, le luci si alimentano di quella inesauribile sorgente luminosa che è la volontà. Donde la scelta – nonostante tutto – di continuare a esserci e ad amare.

Giorgina Busca Gernetti non è una dilettante dell'ars scribendi; non è una "turista per caso" del Vocale Elicona. Il conviver quotidiano, in virtù della sua formazione e docenza umanistica, coi Grandi di ogni tempo le ha consentito approcci sistematici reiterati, metabolizzati in fecondità, con la migliore produzione letteraria del genio mediterraneo. E i suoi soggiorni sulla costa ionica della Calabria rendono – certo – testimonianza di un amore profondo per il mare, ma in una con il bisogno di rigenerarsi spiritualmente in un'area culturalmente stracolma di apporti d'arte, di pensiero, che direi multietnici, non lontana – com'è – dalla Patria di Omero e di Socrate, e da quella di Apuleio e di Agostino – tanto per fare qualche nome – .

Tale imponente concorso di cultura varia e varia umanità si riversa nella poesia di Giorgina Busca Gernetti, formalizzandosi in un periodare composto, dalle ampie volute, senza esuberi esornativi, ma immune anche da certe ellissi asfittiche, veicolo più che di condense significanti, del non senso se non del nulla.

Recensione
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