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Maria Luisa Daniele Toffanin, poetessa patavina residente in Selvazzano, stabilisce col paesaggio nativo un rapporto simbiotico. E il paesaggio nativo che alita nella ispirata silloge poetica in esame è quello dei Colli Euganei, già teatro (or son due secoli e oltre) delle turbolenze sentimentali del giovanissimo Foscolo. Chi ne scorre le dense, pregnanti pagine non s'imbatte nel puro e semplice paesaggismo, in pennellate più o meno riuscite di sola portata descrittiva. Dirò anzi che tale dimensione artistica (che pure non manca) è – tutto sommato – accessoria, di minor peso ai fini di una valutazione piena del complessivo spessore del testo.
Il volume. che si srotola in una serie di canti a metro libero, con rarissime chiuse di strofa, e di verso, del genere sdrucciolo, non esibisce una veste strutturale riconducibile alla tradizione – per così dire – predecadente della nostra storia letteraria. L'impianto logico-sintattico, pur inglobando non rari costrutti classicheggianti con presenze di iperbati (E dalla parola vinto s'arresta | il tempo ... pag. 47), mostra varchi nuovi, e dilaga in originalissimi tracciati dove la portata rappresentativa e significante dell'insieme è da ricercarsi non tanto (o almeno non sempre) nel messaggio compiuto del senso, quanto piuttosto nel gioco dei fonèmi sapientemente accostati (o scissi), nell'armonia di suoni e immagini, con la parola che si riappropria del suo ruolo preminente, della sua autonomia. Tra le figure stilistiche più ricorrenti si segnalano l'analogia e la sinestesia, fiancheggiate – se mi si passa il termine – da un copioso corredo di metafore fuor di codice. uniche, pertanto, e irripetibili. La Toffanin, presenza già nota – e ambita – negli ambienti culturali del vivace Molise, vincitrice del premio Città di Venafro del 25 aprile 2004, si colloca a pieno titolo tra le voci autorevoli della poesia italiana contemporanea. con sue ben robuste radici e ascendenze. I versi (come è giusto che accada in chi non suole avventurarsi con troppa disinvoltura per avia Pieridum loca) veicolano echi di passate letture, di trascorsi innamoramenti letterari, lasciando percepire, qua e là sparse, vaghe suggestioni pascoliane, dannunziane, ungarettiane – per dirne solo alcune delle più rilevanti – . Ma tanto non ne inficia l'autenticità. Che ne esce, al contrario, decisamente irrobustita proprio in virtù delle fonti che vi si possono reperire, metabolizzate e fatte rivivere con strumentazioni linguistico-espressive visibilmente personali e inedite. Il senso complessivo del testo, nell'interpretazione figurativa che ne dà Marco Toffanin, si condensa nel disegno di copertina dall'eloquente titolo "Dal caos all'armonia". E lo stesso autore visualizza poi in gradevoli "schizzi" sparsi fra le pagine momenti di particolare intensità trasmissiva colti nell'incontro interattivo col verso. XXIIIFigura sfumata vagante da secoli esplosa in nobile argilla. Miei colli E dalla Parola vinto s'arresta E noi tutti presi da un'onda mite * Il riferimento è all'Abbazia benedettina Santa Maria Assunta di Praglia, in Bresseo (Padova), abbazia che sorge ai piedi dei Colli Euganei nei pressi dell'antichissima strada che conduceva ad Este. Di tale Abbazia ha scritto Toffanin: 'E' un luogo della memoria religiosa, artistica. letteraria dei colli stessi, che sempre sono stati attraversati dalla cultura. Già antichi poeti e scrittori come Marziale, Giovenale ed altri li conoscevano perché venivano a curarsi nella zona termale. [...] L'Abbazia. con la regola benedettina, custodiva codici antichi ed era centro di cultura. Ricordiamo altri autori che hanno vissuto i Colli: Goethe, Shelley, Foscolo, Fogazzaro. Valeri e Zanzotto con il suo celebre sonetto sui colli. [...]." |
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