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Sebastiano Schiavon, lo “strapazzasiori”
«L’assetto della società moderna per il naturale sviluppo della umanità in un
secolo di progresso deve essere certamente democratico. Ai principî di una sana
democrazia – che tende alla elevazione graduale delle classi umili in conformità
coi dettami della giustizia e della carità, insegnando ai grandi come ai piccoli
a riconoscere praticamente i propri doveri ed i propri diritti – io ho
uniformato e sempre uniformerò il mio pensiero e la mia opera». Si tratta di una
frase del discorso agli elettori di un “cattolico-candidato” padovano,
Sebastiano Schiavon (1883-1922), una delle figure più significative del
movimento cattolico veneto di inizio ‘900. Un suo profilo biografico –
accompagnato da un’interessante raccolta di documenti – viene tracciato da
Massimo Toffanin in un volume che ricostruisce in maniera analitica anche il
ruolo del sindacalismo bianco nel Veneto centrale e la vicenda dei cattolici
impegnati in politica a cavallo della Grande Guerra. La provincia è quella di
Padova, la diocesi è quella di Luigi Pellizzo, vescovo di enorme personalità che
sfrutta al massimo le potenzialità dell’associazionismo cattolico, in
particolare di quello giovanile, che costituisce, alla fine degli anni ’10, un
serbatoio di risorse da spendere innanzitutto nelle organizzazioni sindacali e,
di lì a breve, anche politicamente. Si tratta, del resto, di un fenomeno comune
anche alle altre diocesi del Veneto, come ad esempio quella contigua di Treviso,
dove sotto la guida del vescovo Andrea Giacinto Longhin si sviluppa la potente
azione sindacale di Giuseppe Corazzin e Corradino Italico Cappellotto. Il
padovano Schiavon appartiene alla stessa generazione di Giuseppe Dalla Torre,
Gavino Sabadin e Cesare Crescente, che fanno parte della Federazione giovanile
diocesana, tutti destinati a ricoprire ruoli importanti sia a livello locale che
nazionale, con il primo addirittura alla direzione dell’”Osservatore Romano” per
quarant’anni.
L’attività sindacale di Schiavon inizia nel 1908 con la nomina a segretario
dell’Ufficio cattolico del lavoro, strumento fondamentale non solo di
organizzazione e mediazione sociale, ma anche di contrasto alle analoghe
iniziative messe in campo dal sindacalismo socialista. Per farlo, il giovane
avrà a disposizione anche le colonne del settimanale diocesano «La Difesa del
Popolo». È proprio l’antisocialismo a costituire il tratto più rilevante di
questa fase ancora di gestazione e proprio sullo stesso terreno – la propaganda
tra gli operai e i contadini – e negli stessi luoghi, in particolare la
Saccisica, dove nell’estate del 1908 sono più intense le agitazioni delle
lavoratrici tessili. Nei mesi successivi l’attenzione di Schiavon si sposta
anche verso il mondo rurale e nel maggio del 1910 è tra i fondatori, a
Cittadella, del Sindacato veneto tra i lavoratori della terra, la prima
struttura di organizzazione dei contadini di tre province, Padova, Treviso e
Vicenza. È in questo periodo che diventa noto come lo “strapazzasiori” per le
sue posizioni intransigenti verso i notabili e la difesa dei diritti degli
iscritti alle Unioni del lavoro.
Si
tratta di una forza potenzialmente enorme che consentirà a Schiavon di essere
eletto deputato in maniera plebiscitaria nel 1913 ad appena trent’anni,
diventando il referente nazionale dei cattolici padovani, che proprio nel
collegio di Cittadella-Camposampiero – a lungo egemonizzato da Leone Wollemborg
– hanno la loro roccaforte. Come candidato non un reale competitore, dal momento
che sia Wollemborg che il conte Cesare Bonacossa si ritirano per tempo. I
liberali del collegio non hanno dubbi sull’esito delle urne e invitano
all’astensione: «Elettori democratici, il collegio di Cittadella-Camposampiero,
che per poco non mandò altra volta al Parlamento un conte papalino austriacante,
vi manderà presto un sindacalista clericale. È giusto: la legge dà ragione al
numero e indubbiamente il numero è nelle mani dei preti. Opporsi a questa
irruente fiumana di aberrazione è vano: lasciate che passi. È triste, ma
ineluttabile».
Ma
il successo elettorale di Schiavon, schiacciante, è costruito tutto sulla sua
profonda conoscenza del mondo rurale, dei suoi disagi e delle sue spinte
sociali: «Generale è il lamento della mancanza di leggi eque, le quali
rispondano alle attuali condizioni dell’agricoltura ed abbiano convenientemente
a regolare i rapporti fra proprietari, conduttori dei fondi, lavoratori, e
togliere così tutti gli arbitrî, gli abusi, i danni derivanti dalle così dette
consuetudini che si presentano qua e là con forma e valore elastico,
mutevole, spesse volte indeterminato, la cui interpretazione è lasciata al
capriccio delle parti contraenti».
“Cattolico-deputato”, la guerra vede Schiavon su posizioni neutraliste – sarà
tra coloro che nel maggio 1915 negherà il voto al governo Salandra – e durante
il conflitto si segnala per la sua attività parlamentare e per l’organizzazione
dei comitati di preparazione civile per i quali s’impegna fin da subito di
fronte agli elettori del suo collegio. Nel corso della guerra si farà carico
anche della situazione dei sacerdoti veneti e friulani internati perché
sospettati di disfattismo e dei profughi dell’Altipiano di Asiago che, a partire
dal maggio del 1916, in conseguenza della Strafexpedition, si sono
riversati nelle diocesi di Vicenza e di Padova.
Ma
la vera svolta si avrà nel 1919 con la nascita del Partito Popolare che
ridefinisce il ruolo dei cattolici nella vita pubblica. Impegnato nella
costituzione delle sezioni del nuovo partito, Schiavon accetta di tornare alla
direzione dell’Ufficio del lavoro per dare soluzione ai problemi del dopoguerra:
il rinnovo dei patti colonici, la difesa della piccola proprietà, lo sviluppo
del cooperativismo. La vera sfida è però l’organizzazione delle leghe bianche
per contendere a quelle rosse l’egemonia del mondo mezzadrile. Dopo un iniziale
accordo con gli agrari, la situazione precipita nel 1920 – nel frattempo
Schiavon è stato riconfermato alla Camera – quando diventa chiara la doppia
matrice del Partito Popolare e l’influenza sempre più forte che riesce ad
esercitare la classe padronale, pronta a chiedere non solo l’intervento della
gerarchia ecclesiastica, ma anche a rivolgersi allo squadrismo per difendersi
dal “bolscevismo bianco”. E la mancata ricandidatura alla Camera alle elezioni
del 1921 è probabilmente da attribuirsi anche alla svolta della diocesi, decisa
a togliere ogni sostegno alle leghe cattoliche e a isolare Schiavon che
immediatamente tenta di dare vita, in contrapposizione ad un partito ormai
egemonizzato dai notabili e dagli esponenti del Credito veneto, ad un movimento
cristiano-sociale simile, per certi versi, a quello di Guido Miglioli a Cremona,
di Romano Cocchi e Giuseppe Speranzini a Verona, di Cappellotto a Treviso. Uno
sforzo che si rivelerà tuttavia inutile e che sarà interrotto dalla sua
prematura scomparsa. Se l’impegno concreto dei cattolici in politica all’inizio
del ‘900 costituisce la novità, la figura di Schiavon è da questo punto di vista
una delle più rilevanti, se non altro per la sua capacità di leggere le
trasformazioni della realtà del Veneto centrale e di proporsi come elemento di
rottura rispetto all’alleanza tra clericalismo e conservatorismo sociale.
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