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Azione drammatica
E nella sera un’ombra
di Mariagrazia Carraroli
Immagini di Luciano Ricci

9 ottobre 2010
Atelier Canard n. 10, Bucine (Arezzo)

Presentazione a cura di Nicoletta Cherubini

Questa sera, grazie ai versi di Mariagrazia Carraroli e alle immagini fotografiche di Luciano Ricci, di cui Mariagrazia è la più importante collaboratrice, oltre che moglie, saremo condotti in un percorso particolare da questi due spiriti indomiti.

FAREMO INSIEME UN VIAGGIO NELL’IMMAGINAZIONE, NELLA NOSTRA PARTE PIÙ CREATIVA, PIÙ SPIRITUALE E DIVINA.

Noi tutti siamo in grado di immaginare, ma spesso lo facciamo in solitudine, non sempre al fine di rigenerarci dall’interno, e spesso sollecitati dalla negatività che ci circonda, finendo per indebolirci anziché rafforzarci. Il rituale che vivremo stasera sarà invece quello antico e potente di “immaginare insieme”, di compiere un intenso viaggio di gruppo che susciterà in noi nuove emozioni e nuova conoscenza.

Premetto che non mi sembra prioritario in questa sede suggerire chiavi di lettura letterarie, laddove peraltro questo aspetto dell’opera è già stato variamente recensito.

Vorrei piuttosto esplorare E nella sera un’ombra in base a chiavi di lettura socio-antropologiche, secondo una visione “energetica”, intesa nel suo valore di scambio immediato col suo pubblico, che più avanti chiarirò.

Per noi del pubblico sarà come entrare in una sorta di “macchina del tempo”, viaggiando nello spirito, seguendo le orme dei nostri due Autori in questo spazio protetto.

Dove conduce questo viaggio? Direi, intanto, nella consapevolezza interiore delle nostre emozioni. E’ questa, l’importante potenzialità creativa che quest’opera può esercitare nel qui ed ora, su chi la sperimenterà. Siamo tutti unici e speciali, quindi ciascuno di noi ne scriverà una propria personale lettura, mano a mano che il senso si rivela.

Entreremo nel viaggio ascoltando la premessa introduttiva, che verrà letta dall’Autrice, mentre le immagini di Luciano Ricci passeranno sullo schermo accompagnate dal suo breve commento. Ma veniamo ora al percorso immaginativo che ci attende.

Rivivere il Mito

IMMAGINATE UN UOMO E UNA DONNA, COMPAGNI NELLA VITA E COMPAGNI DI VIAGGIO.

Sono in visita alla monumentale Tomba Ildebranda di Sovana, completamente scavata nella roccia, uno dei luoghi sacri alle necropoli etrusche e ritenuta il più importante monumento funerario dell’intera Etruria.

Improvvisamente i due vengono folgorati da una vibrazione; al cospetto dei luoghi percepiscono, scrive Lui, un “sentire che si fa più profondo sin quasi a diventar violento”. Lì, infatti, vibra ancora la presenza di una donna antica, che la potenza del luogo fa rivivere nell’immaginazione dei due Autori.

Scrive l’Autrice: “Vestita d’un lungo abito rosso sono entrata in Lei, o meglio lei mi ha presa portandomi a rivivere la sua storia, segnata da un lutto (...) d’amore, reso ancora più crudele dal non conoscere la fine del suo uomo.”

I due moderni argonauti dello spirito sono ormai entrati in quell’onda di coscienza, sono penetrati in quello che la fisica quantistica definisce un “Campo morfogenetico”, così denominato dal biologo Rupert Sheldrake, che per primo lo ha descritto.

Sheldrake sostiene che per ogni specie esistono dei campi energetici di gruppo, mantenuti in vita in base alla consapevolezza di gruppo, o campo morfogenetico. In termini quotidiani, il campo morfogenetico, ad esempio, è quello della paura che prende lo studente, pur ben preparato, mentre fa anticamera con gli altri per sostenere un esame; è quello a cui attinge la folla eccitata di uno stadio affollato, o ciò che suscita il mare di endorfine in cui si trova immerso chi si esalta durante un concerto rock; è il senso di oppressione che si prova in un pronto soccorso, o la grazia che si sperimenta in una antica cattedrale o in un luogo sacro, e così via.

Il Campo somiglia a una vibrazione di coscienza a sé stante, alimentata dalla storia umana, che a sua volta ne è alimentata. Ma non si tratta affatto di un’invenzione della fisica moderna, che lo ha solo messo in evidenza. Secondo alcuni questo campo esiste da sempre ed è testimone di tutta l’evoluzione, tanto che potremmo definirlo come il Padre della Cosmogonia.

Mircea Eliade, storico delle religioni vissuto nel secolo scorso, ha illustrato in Mito e realtà (Myth and Reality, 1963) che l’aspetto rituale dei popoli cosiddetti “primitivi” mira alla manifestazione nel presente del Tempo del Mito, in una sorta di ricerca dell’Eterno ritorno. Infatti, come spiega Eliade: "Imitando gli atti esemplari di una divinità o di un eroe mitico”, e nel nostro caso si tratta delle gesta di una eroina etrusca, “o semplicemente narrando le loro gesta, l’uomo della societa’ arcaica si distacca dal tempo profano e magicamente rientra nel ‘Grande Tempo’ il tempo della sacralita’.”

E noi, come l’essere arcaico. E come i nostri Autori. Anche per l’essere primitivo che eravamo (e che ancora siamo, anche fisiologicamente), “rappresentare” la nascita del sole significa letteralmente “far rinascere” il sole; lo sciamano indiano d’America che entra nella ruota della medicina e la percorre a piedi nudi “sa” che la sua coscienza presente si unisce a quella dei suoi avi e dell’universo che lo sta ascoltando e che, se la sua richiesta è pura, la pioggia presto scenderà a bagnare i raccolti.

Potremmo dunque dedurne che quei popoli sono sempre stati in grado di cercare il contatto con il Campo, per mezzo del rituale e degli strumenti sciamanici, di cui anche l’essere umano moderno sa servirsi. Anche i nostri Autori, infatti, percorrono e registrano una sorta di continuum spazio-temporale, muovendo dalla necropoli alle stanze e alle vetrine urbane di un presente convulso, e raccontandocelo con i versi e le immagini. Così evocando, fanno letteralmente rivivere nelle coscienze degli astanti l’antico evento che inseguono.

Noi tutti oggi possiamo consapevolmente avvicinarci al Campo morfico anche grazie a un altro dei contributi della fisica quantistica, che ha evidenziato la visione olografica della nostra esistenza: siamo tutti specchi del tutto che ci contiene. Anche le nostre emozioni lo sono. Inoltre, è proprio la nostra coscienza a guidarci fra i mondi paralleli che ci circondano e in cui il tempo, come ha tentato strenuamente di insegnarci Albert Einstein, in ultima istanza non esiste.

Quindi sembrerebbe che sia proprio questa atemporalità olografica a conferire ad E nella sera un’ombra quel valore di scambio immediato a cui mi riferivo all’inizio, proponendoci un viaggio all’interno del campo morfico del Lutto e dell’Amor perduto.

E’ questo “agire insieme” che ci rende capaci di far rivivere il mito portandolo nel presente attraverso la forza del rituale. Mito che ritroviamo nel titolo, “E nella sera un’ombra”, sospeso nella dimensione del racconto, che già ci guida fuori dal tempo quotidiano.

Agire il rituale

Ma il rituale dov’è, in questo intreccio fra poesia e immagine costruito da Mariagrazia Carraroli e Luciano Ricci? E’ ovunque.

ANCORA UNA VOLTA: IMMAGINATE UN UOMO E UNA DONNA, COMPAGNI NELLA VITA E COMPAGNI DI VIAGGIO.

Lei è già entrata nella vibrazione della Tomba Ildebranda, trascinando Lui nella sua rievocazione rituale, il cui esito non è certo solo la ricerca dell’Amor perduto, ma anche il risanamento dello spirito. Lui già convibra con Lei e sente che, anche per sé, quella traccia sfuggente è troppo importante per lasciarla andare, allora si ingegna a catturarla con gli strumenti della sua arte. Con la fotografia, il rituale si trasforma apparentemente in gioco, dove la Donna veste l’abito rosso e l’Uomo ne insegue la traccia per le vie della pietra millenaria e delle colonne antiche, lasciandosi portare fin dentro un presente urbano che, per la coscienza, è tutt’altro che anacronistico.

Proprio nella sua dimensione atemporale, che giunge fino a ritrarre la metafisica del quotidiano, risiede la modernità di E nella sera un’ombra.

I due viaggiatori terrestri sono spariti, sostituiti dai loro alter ego, viaggiatori nella mente e nello spirito. Un universo parallelo si è temporaneamente sovrapposto alla loro realtà, per consentire l’operazione artistica di concreta e ardita RIEVOCAZIONE che entrambi mettono in atto davanti all’obiettivo fotografico. Vediamo un Uomo e una Donna, ritualistici e complici, intenti a scrivere la loro guarigione per mezzo di quelle che James Hillman ha definito in letteratura le “parole che curano” (Le storie che curano, 1983).

La fotografia di Luciano Ricci, dai toni evanescenti e fantasmagorici è proprio questo: celebrazione dell’atemporalità del Campo morfico, testimonianza visiva e vittoria sulla ricerca di un senso di perdita che sfugge alla ragione, ricerca di un porto di guarigione attraverso il connubio col verso che sposa l’immagine.

Dove sta per condurci questo viaggio? Verso l’Eterno ritorno, dove la voce della Donna e quella del Coro approderanno in ultimo alla “fusione nel sole”, un autoannientamento che, ben lontano dal segnare una fine, segna piuttosto un principio, poiché non è altro che la rinascita di Lei, “l’apertura dei cancelli della vita” e il ritorno a quella parte pura e sacra di ognuno di noi che insieme a lei, l’abbiamo rivisitata.

Se è vero, nelle parole di Eliade, che recitare un mito e svolgere un rituale servono un comune scopo, poiché non sono altro che due modi diversi di rimanere nella dimensione del tempo sacro, ALLORA ANCHE NOI, STASERA, FACCIAMO SÌ CHE QUESTO VIAGGIO CI AIUTI A RICORDARE L’ARTE DI FARE DEL TEMPO SACRO IL NOSTRO TEMPO QUOTIDIANO.

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