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Tornerà la mia estate

Un exemplum dei nostri giorni

Tornerà la mia estate! Ha tutte le caratteristiche dell’exemplum, una storia che in più punti viene dichiarata come vera e il cuiprotagonista, grazie alla messa in atto di un determinato comportamento, riesce a raggiungere un certo risultato, che solitamente nella visione medievale del genere trova riscontro nella salvezza dell'anima.

L’opera ha due coautori: Leonardo Paolo Lovari, giornalista, editore e appassionato di medicina alternativa, il quale dopo una vicenda dai risvolti legali che lo ha visto comparire sulle pagine dei giornali, ha pubblicato una raccolta di poesie dal titolo Viva Maria! Inoltre cura lo sviluppo di alcuni progetti quali la Community sul benessere Vivere News, l’associazione culturale Idee Infinite e S.E.A Servizi Editoriali Avanzati. Andrea Falciani, suo amico e collega, insegnante di scuola primaria e appassionato di scrittura di racconti e storie per ragazzi, ha convinto Lovari a scrivere insieme un romanzo sulla vicenda personale di quest’ultimo, definendosi un “collega padre separato” del co-autore. Falciani collabora con il quotidiano La Nazione, fa teatro amatoriale e sta lavorando alla stesura di un corposo libro.

Tornerà la mia estate! si configura nel genere di un tipico romanzo a sfondo sociologico, che nasce chiaramente dall’esigenza, per non dire dall’urgenza, di condividere un messaggio importante sulla tutela dei minori nelle cosiddette “coppie miste”, formate da genitori di diversa nazionalità.

L’intento didascalico dell’opera è ampiamente documentato non solo dalla trama del romanzo, che si snoda nell’arco di cinquanta pagine intense, dominate dalla lotta fra il cuore e la ragione di un padre abbandonato dalla compagna fuggitiva, la quale porta con sé all’estero la loro bambina, ma anche dai numerosi interventi di cui l’opera è corredata. Si parte da una Presentazione breve di Luca Canonici, che sottolinea l’aspetto emozionale quando afferma che «le pagine di questa raccolta trasmettono il toccante viaggio nelle sensazioni di un padre abbandonato.» Segue una commovente epistola a firma di Silvia Tortora, che fa parlare il cuore quando si rivolge in prima persona alla “bambina bellissima,” in carne ed ossa, a cui si ispira la narrazione, sottolineando un concetto fondamentale: il Bisogno di Futuro che lega un genitore al figlio che ha messo al mondo. La Prefazione di Leonardo Lovari, dopo un breve incipit in cui descrive l’iniziale riserbo che ha dovuto superare per trovare la forza di scrivere la sua difficile esperienza, introduce il tema del libro: la disputa dei “Figli di due Nazioni”, cosiddetti «perché essendo figli di genitori di nazionalità diverse, lo spostamento di un minore in un altro paese apre lo scontro per la competenza fra stati su dove dovrà vivere questo figlio.» Lovari chiarisce poi il tema centrale del libro: «Quindi non si lotta per l’affidamento fra genitori, ma si scontrano regolamenti, trattati fra Stati per l’applicazione delle competenze in materia di responsabilità genitoriale. (…).»

Anche quando si riesce a individuare i regolamenti applicabili al caso, continua Lovari, «si hanno delle diatribe molto forti sull’applicazione dei regolamenti (…) e sulla loro interpretazione molto spesso usata da alcune nazioni (specie le neo entrate in Comunità Europea) come strumento per difendere il genitore che ha commesso l’illecito trasferimento. »

Tutto questo a discapito del fanciullo, che anziché essere tutelato si ritrova a vivere pericolosi traumi psicologici. Segue nella prefazione una vera e propria dichiarazione di intenti dell’opera, che evidenzia la necessità dell’informazione preventiva:

«Proprio per evitare che queste creature diventino “Figli di due Nazioni si dovrebbe informare di più circa le problematiche che si hanno quando due persone di nazionalità diverse decidono di mettere al mondo un figlio e nel caso che la coppia si divida, in modo da prevenire il più possibile quelle tragedie che diventano le sottrazioni internazionali di minori.»

Dopo le pagine dedicate al romanzo, di cui parleremo fra poco, a fine libro troviamo una disamina del tema de La bigenitorialità nelle coppie miste, a cura dell’avvocato Heidi Barbara Heilegger, che spiega i risvolti giuridici internazionali del caso trattato e che mette in guardia contro i facili stereotipi culturali che darebbero per scontato, erroneamente, che la madre sia il genitore più adatto ad accudire la prole. Chiude il volume il Commento di Anna Rita Scheri, che evoca l’importanza di dare Amore, sottolineando che essa «non può essere sottovalutata né da una madre né da un padre, consapevoli entrambi dell’impossibilità di privare un figlio dell’amore di entrambi. Perché è su queste basi che quel figlio imparerà ad amare (…).»

Il titolo del romanzo richiama con successo le stagioni della vita, riuscendo a marcare fortemente quel bisogno di un Futuro di vita insieme, fra genitori e figli, a cui si accennava poc’anzi. Fin dalle prime righe, infatti, assistiamo alla caduta dell’animo di Paolo in un gelido e angoscioso inverno, quando apprende fortuitamente i piani di fuga all’estero della sua compagna; seguiremo poi il personaggio nel suo difficile percorso di rinascita, in cui riuscirà progressivamente a ritrovare la propria primavera di speranza e di amore e il ricongiungimento con la figlia, per poi avviarsi con lei verso l’Estate della vita, momento di fruizione e di raccolta efficacemente evocato dalla bella immagine di copertina (grafica a cura di Anna Rita Scheri e Stefano del Marro), dove lo scatto di Paola Agnolucci, nella migliore tradizione delle posture tipiche del Soulwork e delle costellazioni familiari di Bert Hellinger, ci mostra padre e figlia di spalle, mentre camminano per mano rivolti verso un domani rischiarato dalla luce.

Lo stile del romanzo viene accortamente messo al sevizio delle emozioni e delle situazioni grazie a un taglio giornalistico piuttosto asciutto e mai venato di autoindulgenza. Se per molti versi il taglio dell’opera è giornalistico, per altri ovvi aspetti è autobiografico e sempre libero da compiacimenti di tipo letterario.

La fabula, data dall’insieme degli elementi della storia considerati nel loro ordine logico e cronologico, risulta molto scattante e scorrevole, risolvendosi in un ottimo equilibrio formale. A tratti il taglio giornalistico rompe il passo, per fare un’evidente quanto necessaria concessione a un tipico artificio dell’arte del racconto, rappresentato dall’inserzione di “sogni”, “incubi” e “fantasticherie” del protagonista, i quali grazie a un sapiente gioco di intreccio ci consentono di scorgere il volto, lo sguardo, il sorriso e la vitalità della figlia lontana mentre interagisce idealmente col padre.

Il romanzo vede all’opera il triangolo formato da tre personaggi principali: un Padre (l’Eroe), una Madre (sua Antagonista) e una Figlioletta, nel momento in cui l’universo familiare dei tre crolla per dar luogo a un dramma dell’abbandono. Il romanzo narra la storia del recupero di un tesoro perduto, rappresentato dalla figura dell’Innocente o Fanciullo, qui una bimba bellissima di nome Lina; è lei il tesoro inseguito da Paolo, un padre determinato e ferito, dominato dal bisogno di comprendere cosa gli stia succedendo e perché; ed è sempre lui, a confrontarsi con un’opponente forte e scaltra, Sigita, sua compagna e madre della bimba, allontanatasi dal tetto familiare senza darne preavviso né spiegazione, portando con sé la figlia e una grossa somma di denaro di proprietà del convivente, mettendolo in crisi anche economica. Ci sono poi le Istituzioni, sorta di Mulini a vento che di per sé rappresentano i classici i ostacoli da superare per Paolo.

Lo svolgimento narrativo del romanzo è chiaro e lineare. Secondo la terminologia delle funzioni proppiane del racconto, l’esordio trascina il lettore in medias res, con l’improvvisa, scioccante e fortuita scoperta da parte di Paolo del “Tranello” tesole dalla compagna, sua antagonista, e dell’“Allontanamento” di lei che torna all’estero portando via la loro bambina; l’azione parte quindi dal “Danneggiamento” subito da Paolo e dal “Divieto” che gli viene imposto dall’impossibilità di vedere e di comunicare con la figlia. Seguono poi le peripezie di Paolo, impegnato nella sua “ricerca di giustizia,” ovvero la strenua battaglia legale e la dolorosa lotta interiore (un vero e proprio conflitto fra passione e ragione) che lo vede impegnato nell’inseguimento dei suoi diritti paterni e nella difesa del diritto della figlia di godere della vicinanza del padre, oltre che della madre. Non ultimo, il lettore assiste anche alla formidabile crescita spirituale che un’esperienza del genere può generare.

Incidentalmente, la vicenda del Padre mette bene in luce un fenomeno che nella filosofia degli antichi Esseni, popolo di origine ebraica di epoca ellenistico-romana (e non solo), andava sotto il nome di Notte Oscura dell’Anima. Nelle parole di Gregg Braden, che ha studiato e ampiamente descritto il fenomeno nei suoi libri e in una videoconferenza dal titolo Camminare tra i mondi, apprendiamo che: «Attraverso un’oscura notte dell’anima ci viene ricordato che la vita tende verso l’equilibrio, che la natura tende verso l’equilibrio e che ci vuole un essere estremamente magistrale per bilanciare quell’equilibrio.(…)

È proprio attraverso lo specchio della notte oscura dell’anima, che vediamo noi stessi nudi, forse per la prima volta, senza l’emozione, il sentimento e il pensiero, senza tutte le architetture che ci siamo creati intorno per proteggerci. Attraverso questo specchio possiamo anche provare a noi stessi che il processo vitale è degno di fiducia, ed anche che possiamo aver fiducia in noi stessi mentre viviamo.

La notte oscura dell’anima rappresenta per noi l’opportunità di perdere tutto ciò che ci è sempre stato caro nella vita e di vedere noi stessi alla presenza e nella nudità di quel niente.

È proprio mentre ci arrampichiamo fuori dall’abisso di ciò che abbiamo perso e percepiamo noi stessi in una nuova luce, che esprimiamo i nostri più alti livelli di maestria.».

Col sopraggiungere dello spannung, il momento di massima tensione del romanzo ci mostra Paolo in albergo, di sera, nella stessa città estera in cui si trova la figlia, alla vigilia del momento in cui l’avrebbe rivista l’indomani e pieno di tormento, ansia e speranza di riuscire finalmente a far notificare alla madre la sentenza del Tribunale dei minori: un atto esecutivo secondo il quale la donna avrebbe dovuto “riconsegnare la bambina al legittimo padre” con effetto immediato, entro una settimana. Segue ben presto lo scioglimento, segnato dalla consegna della notifica, fatta l’indomani da un ispettore di polizia locale che rivolge alla madre parole mai venate di accusa, bensì portatrici di un monito rivolto alla conquista della responsabilità genitoriale e alla ricerca di una soluzione “giusta” per la figlia: un incitamento affinché la coppia separata si sforzi di ricreare un nuovo equilibrio familiare per la figlia, anche in presenza della grande distanza geografica che la dividerà. E per finire un finale, lieto ma in tono minore e privo di trionfalismi, come detta la delicata complessità della situazione, che vede il rientro della figlioletta in Italia sotto la patria potestà sancito dal Tribunale dei minori e il pacato chiarimento con la madre della bambina, di cui la piccola ha egualmente bisogno.

La narrazione è seguita da una Appendice al romanzo di Leonardo Lovari, da cui si desume chiaramente che la conclusione della storia deve indurre a riflettere su una riuscita, è bene sottolinearlo ancora, non inficiabile da giudizi polarizzanti fra torto o ragione, giusto o sbagliato, vincitori e vinti; il finale resta prodigiosamente sospeso nella dimensione del bene ultimo della prole:

«Paolo ha vinto la sua ‘battaglia legale’ perché non ha fatto guerra alla sua convivente ma ha cercato di tutelare i diritti palesemente lesi di sua figlia. La bambina vede la madre ogni volta che viene in Italia, e Paolo gliela affida tranquillamente perché sa di aver gettato una base solida su cui ha costruito e sta tuttora costruendo un rapporto nuovo, un rapporto dove non c’è posto per i sotterfugi, per le fughe, né per i compromessi di comodo. Sta tracciando la strada per il futuro di sua figlia e questo è l’unico orizzonte che vede svegliandosi ogni giorno.»

In sintesi, le tante sinergie riunite in questo volume ricco e attuale (basti consultare in rete le statistiche sui casi di sottrazione internazionale di minore attualmente in corso) sono realmente in grado di tratteggiare un Exemplum, il racconto di una serie di comportamenti di consapevolezza capaci di dare un lieto fine a una storia vera e potenzialmente più drammatica. Con le parole di Tata Lucia, nota pedagogista, ricordiamo che, al di là di ogni dramma, «La vita è un percorso pieno di ostacoli, ma alla fine ci si ritrova tutti al traguardo insieme.» Questa consapevolezza si può così riassumere anche nelle parole tratte dalla Prefazione del libro: «Gli amori finiscono, ma i figli sono per sempre.» L’ultima chiosa sul futuro dei Figli, ovviamente, spetta al filosofo e poeta Kahlil Gibran, che così insegna ai genitori:

«Poiché la vita non va all’indietro né si cura del passato. Voi siete gli archi da cui i vostri figli scoccano in avanti come frecce viventi.» [1]


[1] Kahlil Gibran, Il Profeta, Bis Edizioni, Cesena 2010. Traduzione italiana a cura di Nicoletta Cherubini.

Recensione
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