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Bonsai
Occupandomi della precedente
raccolta poetica di Lucio Zinna, Abbandonare Troia, avevo messo in
evidenza come: «La ampiezza dei versi, la loro disposizione a significare non
negli interstizi ma nella costruzione dell’impianto, sono volte niente affatto
verso una direzione di componimento mimetico e collettivo in cui i tratti
sistematici possano andare nel grande spazio dove convivono modelli
sintagmatici, frammenti tipici, vedute di gruppo e formulazioni del linguaggio
comunicativo». Volevo metterne in chiaro la originalità, concetto che è
sempre più soffocato quanto più in Italia si sviluppano le mode del poeta come
semidio tutto intento a rispondere all’appello del «dire originario» nominando
il sacro, cioè il venire a contatto di dei e uomini. E per i monoteisti? e per
gli atei? non c’è la trippa della poesia.
E, prendendo spunto da
quanto in questa estate è sulla bocca di tutti, gli ipotetici prestiti che
l’ultimo libro di Milo De Angelis avrebbe preso da altri poeti (da me in maniera
inequivocabile) questa critica cosa dovrebbe postulare se non che qui il sacro è
un falso sacro perché in esso non si sono incontrati veri dei e veri uomini, ma
qualche loro fotocopia, qualche delegato, factotum, faccendiere, facsimile,
rimasuglio.
In Bonsai Zinna è
del tutto lontano dal prospettare un sacro ridotto a teologia senza Dio, o a
solipsistico e nevrotico anti tran tran quotidiano. Piuttosto, memore della
grande lezione di Rudolf Bultmann (per cui per es. essendo le formulazioni
linguistiche dei testi sacri inadatte alla «cosa» e essendo proprio il mito la
forma tipica di questa obiettivazione, l’interpretazione deve innanzi tutto
compiersi sul versante della demitizzazione) egli sottopone a processi di
demitizzazione una notevole quantità di reale.
Nella prima parte del
libro che a me sembra terminare con il modernissimo: «Salvaguardare
l’intelligenza | primo scudo stellare» l’autore può lanciare dal di dentro del
suo sistema e della sua lucida e fermentante coscienza pensose occhiate verso «Il prossimo tuo»,
i «Pauperes spiritu», Saulo, o ancora più in su come in
Preghiera per i liberatori: «Liberaci o Signore | dalla prepotenza di coloro
| che hanno sempre qualcuno | da liberare. | Liberaci da questa loro | anomala
schiavitù ». Ma anche verso cose e fatti contemporanei, gli stanchi riti della
turba di sedicenti filosofi in Ballatetta comisana, in un processo
che non esclude né la città dove Zinna, siciliano, vive: «Palermo che vende che
compra capitale | di morti ammazzati...» né certe manifestazioni dell’amore,
fino a deflagrare in Legge Merlin, in cui il discorso viene preso da
molto lontano, da aeree metafore, per piombare in: «Resta l’illusione di una
gentildonna (dama di carità rosso – | targata) che volle sterzare percorrendo
secoli di pena | impervie biografie oppresse ribellioni che tentò generosa | e
categorica una volta per tutte avec un coup de loi | di ristabilire
l’ordine pubico».
Sennonché l’ultima sezione
Lisieux presenta un notevole cambiamento di ottica col prevalere delle
necessarietà esistenziali legate all’io nel suo porsi come agente di
chiare vicende extraumane, per cui il fare transitivo nel suo formarsi e
estrapolarsi si integra con una vistosa serie di sollecitazioni provenienti da
altre voci che avanzano in una robusta trama, come in La tartana: «Una tartana per l’atollo Inconnu oltre le nebbie
| dove mani non
scagliano pietre – i bisturi d’ossidiana – | planano i castelli senza fossati
ponti levatoi | sugli spalti non sventola vessillo. Protese le braccia | nessuno
grida bisbiglia né riti governa. Incita | saldezze il vento sollecita rifugi la
tempesta. | Domestici gli animali hanno anagrafe e medico. | Il rosso colore del
sangue accomuna le razze | solo nemico il male biologico. Una tartana | oltre
quelle nebbie». In queste ultime poesie sono introdotte serie emblematiche tese
a costituire eventi al di là di collegamenti subitanei esplorando sia il
costituirsi dinamico della realtà sia porzioni di essa ormai depositata e
fissata, ma rivisitata in nome di una diversa dicibilità: Zinna costruisce
potenti articolazioni allegoriche dove fisionomia di oggetti, fantasia evocativa
e discorso gnomico si intrecciano a comporre una non momentanea verità.
È proprio di «renaissance
» che l’autore parla nella dedica al libro, rinascita alla vita, e in una
estrema sintonia vedo che in Zinna le esperienze si dipanano con una nuova
visione in cui cambiando le distanze con il mondo si calibrano l’uso delle
passioni e quello del «correlativo oggettivo» facendo emergere un tutto
estremamente valido, una epopea rivelativa della quale si pone testimonianza.
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Recensione |
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