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Naufragio presunto
Epopea di un’anima che
veleggiando sui mari della memoria, della storia e della cultura, canta passato
e presente dopo averli immersi, amalgamandoli, nelle paludi del cuore e nei
cieli della mente. L’io del poeta, indossati gli abiti del tempo umano,
attraversa gli avvenimenti, li cattura, li pone in uno spazio fuori dal tempo e
lascia che miti e leggende, storia e cronaca si condensino nella parola, si
adagino sul ritmo del verso e si raccontino. Sottesa a questa orchestrazione
epica si dipana la vicenda umana con i suoi successi e le molte sconfitte, con
le perdite e le attese, la dolcezza del sogno e l’amaro calice del reale,
l’amore per la propria dimora e lo spaesamento, il disorientamento, il senso
della persistenza accanto alla chiara coscienza della precarietà, del proprio
continuo “naufragio”, l’angoscia, quindi, di dover stare sempre sulla
soglia del vivere e morire, nell’incertezza, che spaventa, dell’oggi e nella
certezza, che stranamente rasserena prima di aprirsi allo sgomento dell’ignoto,
della morte. La musicalità, di conseguenza, si frantuma senza tuttavia perdere
in armonia, fluendo sempre su toni bassi e sul ritmo lento del raccontare.
Così i nostri vecchi, a noi
seduti intorno al focolare, “presso i domestici fuochi”, narravano i
piccoli e grandi eventi a cui avevano assistito o partecipato o di cui avevano
solo sentito parlare e la loro voce, nei nostri orecchi attenti, si faceva eco
di più remote voci: “Infreddoliti e pallidi, sbarcarono, | A ciascuno fu data
una coperta | e una tazza di tè mezza annacquata”; “E seguiva monotono il
racconto | con eroi, battaglie, e madri in pianto.”; “Di là del mare di una sera
jonica | pensosi e già presaghi, li ricordo.”. Il linguaggio è moderno, ma si
ammanta di un non so che di antico, un’atmosfera di lontananza, un respiro
lieve, una luce crepuscolare, una “cenere leggera che si perde | in un cielo
perduto” che tolgono lo stridore dell’attualità, la metallica e fredda
luminosità, senza privarlo del candore caldo della verità che gli consente la
consistenza della durevolezza.
Su questa
struttura armoniosa, tra sogno e realtà, si alza sicuro il canto di Carmelo
Pirrera.Caselette 31 marzo 2010
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Recensione |
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