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Una malinconia
lieve, a volte giocosa, corre di verso in verso e avvolge quasi tutte le
composizioni di questa nuova raccolta poetica di Armando Santinato, alias Herman
Holyborn. Anche in questo suo mutar nome, e diversamente proporsi, si può
cogliere il gusto dello scherzo, dell’autoironia, del mostrarsi e nascondersi
nelle pieghe delle quinte che separano il palcoscenico del reale da quello
spirituale dove i concetti di tempo e spazio si annullano nell’infinito. Il
poeta assorbe le esperienze del vivere: “L’amaro sorriso | fra le ceneri
spente | del fuoco” o la “pungente rosa | che profuma di maggio” o le
“ canne scosse dal vento di bora | o le “carene | dimenticate sulla secca
gora”,le introietta nella profondità del proprio io per poi restituirle in
forma di parole dopo averle sottoposte allo sguardo selettivo dell’intelletto e
a quello purificante e, direi, sacralizzante dell’anima. Alla fine di questo
processo di appropriazione e di restituzione è possibile , quindi, ascoltare
parole che coniugano quei sentimenti e quei principi che danno spessore e
dignità all’essenza dell’uomo: amicizia, carità, fede, giustizia, memoria,
onestà, speranza e trovano la loro giusta collocazione nella grammatica
dell’amore. Ed è l’ amore a farsi ponte tra passato e presente, tra realtà e
sogno, tra il particolare e l’universale, tra l’effimero e l’eterno e sempre
l’amore è l’humus che nutre la parola di Santinato, le dà ricchezza e forza
semantica che le permettono di elevarsi a
metafora dei diversi piani sentimentali e intellettuali, di complicata e
incostante immanenza, di purificante e persistente trascendenza. Per cui quello
che ad una prima lettura poteva sembrare una confessione , un togliersi la
maschera e uno svelarsi dell’uomo-poeta, ora ci appare come lo stratagemma per
meglio proteggere le arcate del tempio, la sacralità del tabernacolo dell’io,
l’unico ad avere il sigillo che gli permetta di volgere lo sguardo e di tendere
costantemente verso l’Essere. A questo punto possiamo anche affermare che in
Santinato-Holyborn la delusione non è mai tragica, ma si veste di una sospesa
malinconia e di una dignitosa accettazione del mutare delle cose essendo il
poeta cosciente che nel mondo metamorfico tutto è soggetto al cambiamento, sola
resta fissa e indelebile la testimonianza amorosa nel suo significato ideale,
laico e religioso. La solitudine e il silenzio che seguono a una frattura, si
addolcisce “fra gocce | di rugiada”.
Letto in tale prospettiva questo diario amoroso, a cui l’autore ha voluto
dare, immergendolo nel frizzante mosto dell’ironia , il titolo di Trattato
lirico di cocente gelosia è un susseguirsi d’incontri e di abbandoni che si fanno calzanti
traslati delle umane vicende dove all’attesa segue l’arrivo e quindi la partenza
lungo binari di solitudine e di silenzio, di luce e di ombre, di speranza e di
sconforto mentre il fuoco della “Cocente gelosia” diviene fiamma che
brucia “l’ombra del demonio”e “la pungente rosa”del contingente e
sale , complice “un sogno | che mai non cessa | di sognare”, verso “là
dove spira | l’alito della vita”, “ dove non tramonta | il sole”e “Dove
| la notte |
si consuma fra le stelle”.
Caselette
28-11-010
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Recensione |
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