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Cupido nella rete

Daniela Quieti col suo ‘Cupido della Rete’ ci racconta e spiega l’amore ai tempi di Internet. Nel suo romanzo si evidenzia tutta l’aridità e l’inevitabile ambiguità cui siamo destinati allorquando affidiamo un sentimento, che dovrebbe nutrirsi di suoni e di carne, ad un rettangolo luminoso che ci pone in contatto con personaggi e non come uomini o donne reali, sia pure con un’anagrafe e una storia esistenti.

Lo scritto di Daniela, stringato, giacché lo scopo deve essere quello di costruire una storia che non si presti ad equivoci interpretativi, ma supporti la tesi su cui è strutturato il romanzo, è in definitiva solo un prologo e, relativamente alla parte finale, possiamo dire una postfazione a quanto scrive dalla pagina 60 (rigo più, rigo meno) in poi, quando il racconto, prima del finale a sorpresa, prende la fisionomia di un saggio, riproponendo la maestria della Quieti in questo genere, maestria che già conosciamo dalle sue precedenti opere letterarie. È qui che la Quieti dà il meglio di sé con una messe di citazioni e rimandi, colti, ciascuno con un ben definito ruolo esplicativo in un sofisticato meccanismo di associazioni concettuali.

È questo di Daniela Quieti un racconto crudo, in ultimo crudele, sia pure stemperato dall’ultimo rigo dove leggiamo il monito dell’autrice: "... Non fidarsi mai della rete!..." quasi a ricordare che la sua è un’opera di fantasia (e forse col ‘conforto’ della consapevolezza che, ormai, la realtà è spesso ben oltre la più spregiudicata delle fantasie).

Come compete ai romanzi di razza, ‘Cupido nella Rete’ è però prima di tutto una fucina di occasioni e di stimoli proposti al lettore per soffermarsi e riflettere.

Le domande da porsi sono molteplici, tutte stringenti e tutte, temiamo, per adesso rimandate a data futura o poste sub judice. La Rete è un falso? La Quieti non risponde affermativamente, né, beninteso, lo nega; solo ci offre, come detto, spunti di riflessione e, con la storia che ha creato ci pone di fronte all’urgenza, ormai non più procrastinabile, di dare una risposta a questo e ad altri quesiti che nascono a corollario del mondo virtuale che ci avviluppa impadronendosi perfino dei sentimenti più intimi, modificandoli e ristrutturandoli a suo piacere secondo regole codificate e sovente mascherate.

La Rete nasce dalla solitudine, o è la solitudine a produrre la Rete in quanto le affida un ruolo centrale nelle esistenze di tanti? Diceva Pessoa, come ricorda la Quieti, che non ci innamoriamo di una persona bensì di un’idea, spesso della risposta ad un bisogno intimo. La Rete che nasce nell’epoca in cui domina la scena quella che Zygmunt Bauman, come sappiamo, ebbe a definire ‘società liquida’, è, a questo proposto perfettamente calibrata.

La figura della protagonista in ‘Cupido’, questa donna che, da un iniziale timido approccio ad una chat, fa di questa una quasi ragione di vita, al punto di voler restarne in contatto ogni momento della sua giornata, rappresenta tanta umanità alla deriva, un’umanità che usa uno strumento intelligente che però propone regole di comportamento definite e standardizzate e le impone, pena, come succede a Lilli in Cupido, di finire, inevitabilmente, a ‘voltarsi’, perché il suo ‘io’ istintuale questo chiede, e così facendo finire per perdere l’amato (o presunto tale) ne più né meno come accade ad Orfeo mentre trascina Euridice fuori dall’Ade. Quando Lilli decide unilateralmente di incontrare l’uomo conosciuto in Rete, di fatto non ne rispetta più le regole e come Orfeo perde Euridice (Sam Motta nella fiction di Daniela Quieti).

È vero che in Rete basta un click per cancellare un’esistenza altrui, ma è proprio questa precarietà a produrre un’insana, quanto elefantiaca, esasperazione comportamentale. Questo dimostra Daniela, la quale, allorché cita la vicenda di Elizabeth Barrett Browning, non lo fa per dirci che ‘può accadere’, bensì che, se accade, preoccupiamoci che non sia un’eccezione.

Recensione
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