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Pensieri nomadi:
La poesia di Maria Luisa Daniele Toffanin
a cura di Silvana Serafin
Daniela Ciani Forza
Editoriale
«L’immagine è data da ciò che le parole
significano di per sé».
La poesia, questo genere
letterario costituzionalmente ‘nomade’ fra pensieri, emozioni e linguaggi, di
cui coglie le più sottili sfumature per scoprirsi all’esperienza umana, a volte
–succede– è percepita dai lettori
con ritrosia. Condizionati
da bizantinismi critici ed intellettuali, di fronte ad un testo poetico siamo
spesso erroneamente indotti ad opporvi delle difese, allontanandoci dal
significato delle parole, laddove, come
raccomanda Hugh Kenner:
«quando Shakespeare scrive ‘Night’s candles are burnt out’ si deve pensare a
delle candele.
L’immagine è data da
ciò che le parole significano di per sé»1
La costruzione
metaforica nasce dalla percezione esatta del valore intrinseco della parola, da
cui solamente scaturisce l’immagine, in un dialogo fra lettore e testo
dell’autore.
In
Pensieri Nomadi – La poesia di
Maria Luisa Daniele Toffanin,
Silvana Serafin conduce ad una conversazione a tre fra la sua attenzione al
significato dei testi – delle parole – di Daniele Toffanin,
la poetica stessa
dell’autrice e la percezione che il lettore ricava da quest’interazione,
divenendo a sua volta attore della poiesis.
Il libro, puntuale nel suo
lavoro critico, non determina l’interpretazione del testo, non la guida nemmeno:
ne espone i contorni permettendo di assorbirne la significanza. Serafin
definisce la poesia di quest’autrice come un viaggio «dal pensiero alla parola»
che «si fissa sulla pagina bianca e l’esperienza personale diviene patrimonio
della collettività» (p. 15): la parola è segno che conduce alla sua matrice e si
espande al lettore, suggerendone visioni modulate di coinvolgimento al testo.
Daniele Toffanin sofferma
i suoi versi su quell’universo quotidiano di sentimenti, valori e riflessioni
che sembrano ormai sfuggire alla cura dell’ uomo nel suo essere, coinvolto nel
pathos di un’eterna fuga –da sé, dal tempo, dalla natura–.
Sono versi illuminati dal
candore con cui la poetessa si sofferma a cogliere la metafora della vita
attraverso i suoi colori, i suoi suoni, il movimento delle onde o il sapore del
vento, dove ogni parola penetra
un’immagine tanto concreta
quanto poetica, dando vita a quel significato polivalente e unico, da cui nasce
la ricchezza dell’esperienza conoscitiva. «Era l’ora aspra del vento / che plana
l’ardore del sole / s’inebria d’azzurro d’immenso / d’immacolati suoni / ma
inquieta il nostro sentire» recitano i primi versi di “L’ora del vento, di cori
e voli tribali” (p. 186), tratti dai suoi ultimi scritti, qui raccolti in
“Appendice” ed editi per la prima volta. Nella precisa definizione del momento
in cui il pensiero della poetessa si sofferma e si svolge («il vento che plana
l’ardore del sole» e l’ «azzurro immenso» del crepuscolo) s’innesta il vagare
emotivo che induce alla riflessione: l’ora ‘aspra’, pungente di salsedine –e di
conclusione– porta con sé la dolcezza del ‘planare’ la vitalità e la forza del
sole, colmando d’ ‘immensità’ l’azzurro del cielo e dell’orizzonte, rendendo
‘puro’ il vibrare dei suoni, ‘destando’ il ‘sentire’ dell’anima: spingendola a
nuovi lidi di meditazione. Crepuscolo e luce si fondono in una dimensione in cui
l’immensità si fa privata e i suoni accompagnano l’epifania con limpida
freschezza, dove ‘inquietudine’ è moto, risveglio, dell’animo ai segni che la
natura offre alla vita, e che la poesia convoglia alla sua voce.
Diviso nelle tre sezioni
che seguono l’itinerario poetico di Daniele Toffanin, lo studio di Silvana
Serafin introduce il lettore alla ‘parola’ dell’autrice. La segue dal suo
nascere, percorrendo l’arco della sua
produzione letteraria,
cogliendone la dimensione intima, segnata dall’esigenza di comprendere la
trascendenza delle cose per tradurla in immagini poetiche, e la presenta nelle
sue stesse conversazioni,
altrettanti momenti
sospesi fra ricordi e creatività, laddove gli spazi della sua ispirazione si
riversano in orizzonti senza confini: «i luoghi dell’anima in cui mi sento in
simbiosi con la natura», come li richiama in ‘Quattro chiacchiere fra due donne’
(p. 54). Altrettanto elegantemente agile è la sezione dedicata alla critica, in
cui si rileva, come scrive Andrea Zanzotto, la laus vitae (p. 81) con cui la
poetessa scandisce il suo mondo, conducendo il lettore lungo un «itinerario […]
attraverso le visibili meraviglie colorate della natura», come sottolineano le
parole di Mario Richter (p. 131), e della ‘casa-cosmo’ in cui si trascendono e
si comprendono i «vasti paesaggi della mente e del ricordo», come nota Emilia
Perassi (p. 111). La sezione dedicata alla bibliografia offre al lettore un
ulteriore spazio di ‘dialogo’ con l’autrice, presentandogli l’opportunità di
nuovi incontri, personali, con la sua parola nell’interezza della sua
produzione, e con le reazioni di altri ‘lettori’.
Chiude, e completa,
l’opera una scelta di testi inediti: una finestra che si apre a nuovi ‘viaggi’
fra i paesaggi dell’essere «traghettando la notte / nel silenzio di illimitati
orizzonti» (p. 154).
Questo quarto volume della
collana Nuove Prospettive Americane ci riporta allo spirito intellettuale che la
anima: la curiosità di spaziare fra le infinite strade che conducono alla
complementarietà di tutte le culture umane, superando le barriere ideologiche
alla ricerca delle comuni aspirazioni e prospettive di esistenza.
1
Hugh Kenner. The Art
of Poetry, New York-Holt,
Reinehart and Winstone, 1959, p. 122.
Si mantiene il neretto del
testo originale. La citazione è tratta dal Romeo and Juliet di William
Shakespeare, atto 3, scena 5 (trad. mia).
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