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Ecco il dialetto, la lingua che è Madre
Un po’ a
sorpresa, more solito, esce una nuova silloge di Filippo Giordano. “Scorcia
ri limuni scamusciata” sono 13 componimenti poetici in lingua siciliana,
lingua già sperimentata nella sua variante mistrettese da Enzo Romano, ma che ha
una lunga tradizione in tanti altri autori che con successo si sono cimentati
nel comporre nella lingua natia. Il libro, edito da Il Centro Storico, si avvale
della prefazione del prof. Giuseppe Cavarra, letterato messinese, il quale,
nella sua introduzione, riferendosi al linguaggio e ai temi poetici del nostro
autore considera che “il risultato è una resa linguistica fortemente
concentrata”. Ebbene, Filippo conferma anche in questa raccolta questa
tendenza ad usare il verso in maniera quasi sincopata, ricco di suggestioni e di
tonalità (…) Già nella poesia di apertura, e che dà il titolo all’opera, la
leggera ironia, mista alla pulizia del verso in perfetta rima, nasconde la
velata malinconia del trascorrere del tempo che sembrerebbe fermarsi a quello
che fu, mentre in realtà è radicato nel presente in quel “chi pi canticchia a
usassi pi curuna”. Altrove la rima diventa frastagliata per sciogliersi
addirittura in un inno alla tradizione: “ I palori” dedicata a Graziella
Di Salvo e a Enzo Romano maestri ed antesignani della lingua mistrettese (…)
Ecco il dialetto, la lingua che è madre a tutta una comunità e il dimenticarla,
e soprattutto non alimentarla, e azione delittuosa per chi la compie. Altrove la
poesia di Filippo è affabulazione, racconto, cronaca. “I carusi ru
quarantuottu” è un piccolo bozzetto dedicato a chi nato in quell’anno, tempo
addietro si trovò a festeggiarne la ricorrenza. “Paisazzu ri montagna” è
una dura ed amara realtà per chi vive con tutti i disagi e la rabbia: “ci
campi bastimiannu (…) Eppuru , si pienzi | ca pi travagghju | ti nnagghjiri
assai luntanu | u piettu si sbacanta; | riesti sciuttu | cuomu liettu ri vadduni
| chi nun sciata | mancu anticchia | r’acqua a stati | e l’aria sicca
l’accuttufa.” Chi non è mai partito, chi non ha mai lasciato la propria
terra non per diporto ma per il duro lavoro, non capirà mai la disperata poesia
di questi versi. La gola secca dell’addio la conosciamo in molti, in pochi
l’hanno saputa rendere in versi come Filippo. Ogni tanto la mette in politica (aria
ri montagna) e qui il discorso diventa forzato, ma il verso riprende il suo
respiro ora ironico (talè, taliati), poi lirico (chinnicchennacchi),
dove sa raggiungere quelle vette che fanno del nostro amico l’esempio per tutti
quanti noi che ci dilettiamo a versare nelle parole stati d’animo e sentimenti.
Un piccolo
capolavoro, venuto fuori a sorpresa, dicevo, ma che non è “scamusciatu”
per niente e che va ad aggiungersi alle cose egregie fatte da Enzo Romano e
Graziella Di Salvo, sebbene Filippo è poeta in proprio e non mutua da nessuno
idee ed ispirazione.
Questa “scorcia
ri limuni” sì, appartiene ad un giovane verdello.
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Recensione |
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