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Alberto Gallotti dedica consapevolmente la sua raccolta alla
natura, come dichiara nella prefazione al libro, chiarendo tuttavia che non
desidera ricreare nei propri versi, ma anche nella propria esistenza:
“un’arcadia puramente letteraria e bucolica, ma concretamente impregnata di
pace, calma e distensione.”
E aggiunge, rievocando i ricordi dei propri viaggi e
recuperando dentro di sé le immagini dei luoghi naturali che hanno colpito la
sua immaginazione: “Ricordo qua e là, come lampi improvvisi, a S. Margherita lo
sciaquiio delle reti lavate al mattino dai pescatori dopo una notte di pesca, i
temporali che sbucano dalle creste delle montagne in una valle bergamasca per
rovesciare poi lungo i pendii, i ciuffi inaspettati di ciclamini in una
pietraia, il vento del Baltico che scroscia sugli ontani, e ancora, a Palo Alto,
la linea delle colline così dritta e tesa nel cielo della valle di S. Clara.”
Da questo stralcio della prefazione si intuisce che il
sentimento della natura, prevalente in Gallotti, è di tipo elegiaco. Le sue descrizioni in versi sono, infatti, delicate
fotografie della natura, come in “Foglie gialle”, “Pioveva finemente” e “La
camelia che oggi.”
Accanto al tema della natura l’autore affronta con la stessa
profonda delicatezza il tema dell’amore in poesie come “Quello che tra noi”,
“Non cambiare ti prego”, e “Ti incontro finalmente”, anche se le figure
femminili di questi testi appaiono sempre misteriose e sfuggenti.
Come viene sottolineato anche nella postfazione: “Ogni
situazione rievocata nelle pagine di questo libro trova la tensione lirica
capace di isolarla in una sorta di quadro; e le soluzioni poetiche sono quelle
di una visività catalizzata dalla drammatica dialettica del quotidiano, tuttavia
ricondotta all’equilibrio della misura. E, per qualsiasi occasionale episodio
della vita quotidiana, la poesia si configura come rievocazione lieve e
incantata in cui la memoria fa da filtro privilegiato.”
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Recensione |
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