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Io
credo di intuire nelle parole di Veniero Scarselli della Ballata del vecchio
Capitano un grande mosaico di simboli; altri paragonano questa Ballata
a una medievale “Chanson de geste”; essa è comunque un mosaico di vita e di
furori, di provocazioni, di elementi visionari e allucinatori, come un corpo
smisurato che si allunga a Dio, ai misteri dell’escatologia, al numinoso destino
degli uomini. Il veliero, l’oceano, lasciano profonde ferite al giovane marinaio
tormentato dal mistero della morte che corre i mari con la sua vela solitaria (per
sfuggire all’ossessione che inseguiva | le mie notti e per avere una risposta |
dai silenzi dei cieli stellati | o dai vasti orizzonti marini) fino a
trovarsi volutamente e perdutamente sulla soglia del
Mistero con la ferma intenzione
di scrutare dentro l’occhio stesso | ignudo e trasparente della Morte. I
sensi acuti del Poeta rivelano ovunque abissi, procelle, misteri; nasce quel
senso di timore sacro che è insito nei poemi più belli di Scarselli. Da qui quel
tumultuare, quelle masse di immagini tenebrose, alla Velazquez, trasportate con
la rapidità del Caos.
In questa cornice avviene l’incontro fatidico col relitto di
piroscafo semiaffondato e col teschio del vecchio Capitano. La fantasia è un
fiume in piena, la terra e l’oceano appaiono enorme ventre pronto a ingoiare il
giovane marinaio; si aprono visioni che stordiscono per i continui vortici che
procurano, tutto appare pronto al trapasso, a un misterioso fluttuante Nulla. Il
teschio del Vecchio gli parla e gli chiede di liberarlo dal suo Limbo, e lui
come un bravo figliolo lo accontenta. Ma forse si spinge troppo oltre, al di là
delle forze dell’umana saggezza (…ma io non sentivo che il tormento | di un
unico pensiero, mi chiedevo | se nel preciso istante del trapasso | gli si fosse
incisa nella retina | la vera fotografia di ciò che vide | della vita oltre la
morte…) e nell’estasi conosce finalmente la Grande Luce. Ebbene: le sequenze
di questo poemetto, fatte sfilare dinanzi a noi come i secoli di un lungo sonno,
mi sono parsi fantasmi balzati da un muro. La forza di questo libro ci incanta,
il Poeta è irresistibilmente attratto da ogni simbolo dell’infinito, il mare, il
cielo, l’isola dei morti, gli uccelli spaventosi che si incontrano solo nei
dipinti di Hjeronimus Bosch, la potenza dei motori e delle eliche che come
giganti omerici fanno risorgere la Nave risvegliandosi dall’antico sonno. E
infine la rinascita concessa al giovane marinaio che, finalmente sgravato dalle
ossessioni e dalle allucinazioni, torna senza più timore a godere i giorni
felici | del ritorno ad un porto terreno | fra le umili fatiche quotidiane |
degli ignari popoli della terra.
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Recensione |
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