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Carte da gioco. Trilogia dell'infanzia
Il poeta Francesco De Napoli è un lirico di forte margine
espressivo, una poesia toccata da interna dolcezza che non è mutata e non muta anche se
gli eventi della vita sono divenuti grumi di pessimismo per una sorta di cablaggio del
quotidiano. Non è poesia dell’immediato futuro, tutto tende ad un groviglio di
rammemorazioni, di ricordi che li incorpora e, a volte, li rivolta nel loro
contrario. C’è spasmodicamente uno stazionario sedimento di eventi degli anni passati che si
traduce in soliloquio intimo di impianto neocrepuscolare.
De Napoli fissa le cose, i tramandi incapsulati nei ricordi e li
svela, li manovra in un annuncio proto tipico di assoluta veridicità; la civiltà
mediatica di natura tecnologica non gli interessa, il linguaggio poetico risulta aggiornato,
spaziale, con qualche tic di “parlato basso” quasi a richiamare un coro tragico di
antenati. La figura del padre morto è percorsa da ossessioni scatenate dall’evento: “Il
giorno in cui morì mio padre | m’ero bagnato per l’ultima volta, nudo sfidando la
sorte, | nell’azzurro totale, profondo, amaro, | smisurato, sordo ad ogni preghiera,
| vile,
crudele del dolore...”.
Tutta questa poesia, direi tutto il discorso poetico di De
Napoli, ha un taglio di figuralità in chiave antimodernistica. Anche i paesaggi sono scheletrici,
ossessivi nei confronti di un modernismo voluto, a tutti costi, nella poesia
attuale; penso che De Napoli inquadra il problema della modernità come “superamento
all’indietro” per tentare di andare oltre la poesia stessa.
Carte da gioco
è una “trilogia dell’infanzia” senza alcuna feticizzazione perché porta un linguaggio a difesa
delle proprie risorse linguistiche. Ha riacquistato, in questo libro, la libertà di un
verseggiare demoticopopolare di una poesia lirica della migliore tradizione. In alcuni versi
ci sono rimandi a Scotellaro e anche a Pedota. C’è, a nostro avviso, il “corpo
del sogno” della visione che torna in uno spazio paesaggistico dei più struggenti per
fondersi con la lingua dell’origine. Una
Trilogia che spinge creando un
effetto endogeno dei più vistosi, non poteva essere altrimenti: De Napoli è il difensore di quello
smarrimento di quelle vallate ancora selvagge della Lucania che come un’astronauta dell’illimite
oggi si mostra come poeta precocissimo.
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Recensione |
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