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L'Autore ha collocato il suo Pianto di Ulisse in una visione di epica classica, in conflitto, come in tutti i suoi libri, con il frammentarismo poetico e il solipsismo di oggi. I lavori di Scarselli sono narrazioni monotematiche che affrontano temi ampi in cui si può intravedere la poematica hoelderliniana della perdita degli dei. Scarselli andrà ad attestarsi su registri poetici surreali che suggeriscono una visione del mondo misteriosa, sfuggente, indecifrabile, quanto esaltante, di una civiltà post-illuminista e laica. La sua coerenza porta l'autore fiorentino ad affrontare problematiche forti nella cui corporeità cresce un cupio dissolvi, ossia la rappresentazione ossessiva del disfacimento dell'essere, ed elementi fisici che per il reiterato urto di sconcertante realismo collocano il lettore nelle fauci di una morsa a dimensioni cosmiche.

Per comprendere meglio questo Pianto di Ulisse, è utile ricordare uno dei suoi libri più sorprendenti e significativi, Pavana per una madre defunta, 1990: un ritorno alla corporeità delle viscere materne che racchiude in sé la forza agonica dell'essere umano giunto al bivio di un forzato dualismo non risolto e neppure appagato. La nascita è morte (com'è orientata anche la filosofia pessimista di Leopardi) quanto il distacco doloroso dall'utero della madre, che nell'epidittico scarselliano conduce ad un ritorno nel grembo della stessa. La nascita, "ovvero l'essere espulso dalla madre (osserva Rossano Onano) significa essere espulso dalla vita stessa per appartenere al ciclo infelice e mortale della materia". L'universo di Scarselli è dunque dominato dalla metamorfosi, e spinge il suo inoltrarsi speculativo-indagativo fino all'anatomia e fisiologia degli esseri viventi; c'è però la presenza di un grande Padre, Dio, distante e inarrivabile, che appare come in sogno.

Tutti questi elementi si ritrovano anche nel Pianto di Ulisse; tuttavia la poesia di questo fortunato libricino si differenzia per un'ampia ispirazione interna la cui circolarità si avvicina al dinamismo vitale di Isole e vele (1988), suo libro d'esordio. Il Pianto di Ulisse è improntato alle vicende del mito, che rappresenta il suggello tragico del viaggio dell'Eroe; ma l'Eroe qui rappresentato non è un condottiero vittorioso; Scarselli ci presenta un naufrago che giunge, alla fine del viaggio, all'oasi di Abu Assan distrutto nel corpo e nello spirito, in uno scenario primordiale di disfatta. E' l'epos moderno dell'Eroe che giunge alla fine predestinata e ci affida il suo testamento in significati di simboli; il nitore dei fatti narrati, i contorni di metafore barocche, convergono in uno scenario di autentica bellezza laddove anche il paesaggio acquista valenze simbolico-naturalistiche in un linguaggio espressivo assolutamente unico. Si vedano, come esempio, i versi:

Quest'isola nascosta dalle brume | d'oceani ostili, che svela le sue forme | solo a rari naviganti traviati | da venti e fortunali e dove forse | mi tocca di attendere la fine | interminabile delle stagioni, | è una terra già chiusa nel suo inverno; | il nero parassita della solitudine | annidato fra gli alberi contorti | sopravvissuti a secoli di venti | ne succhia la linfa corrotta. | Da solo fra le rocce ascolto | le raffiche di vento che frugano | le ferite spinose di cespugli | cui la bieca volontà di Dio | volle dare triste aspetto umano; | è il libeccio che batte senza tregua | le menti e i corpi, che esausti di ricordare | affondano radici in cerca d'acqua | insieme ai compagni cespugli. | Più non cerchi con me passo passo | sulle spiagge la conchiglia preziosa, | il portafortuna d'amore; | a primavera forse | mi cercherai pallidissima a Itaca, | o dove mai t'avrà portato il vento, | invano di ligustro in ligustro | invano di mirto in mirto, | quando il gigante del mare | ha cessato di ferire le scogliere | e i primi germogli del mondo | premono prepotenti la terra.

Un itinerario dei più belli, che trova conferma nella straordinarietà dei registri stilistici. Si pensi al vento che fruga le ferite spinose dei cespugli, si pensi alle "fere" incontrate nel viaggio, all'onda grigia e alla seduzione che ha il biancheggiare di navi, di luce, questo salpare di vele che acquista plasticità in un mondo marino dove si propongono continue variazioni di temi come in un contrappunto musicale il cui punto di fuga sia l'infinito. Si scorge anche la debole luce di Dio solo intravista, come intravista appare, sognata e sempre più lontana, Itaca. Qui avviene il trapasso tra un mondo ideale sognato e l'altro, misterioso e inarrivabile, che è anche un vivere e rivivere attraverso la solitudine e il sogno la concezione del mondo nel suo divenire. L'Eroe scarselliano, l'Io narrante, ha poche probabilità di accarezzare vivo l'isola sognata, e con mesto commiato si avvia alla sua fine predestinata.

Questa visione mitico-naturalistica si contrappone alla civiltà contemporanea dentro cui si misura e risiede lo spossessamento dell'uomo. Scarselli, strenuo difensore della sua isola, ha creato le condizioni necessarie per un epos moderno, riprendendo come Joyce nell'Ulisse il tema dell'Eroe mitico. Così troviamo, in Joyce un esempio di poema della metamorfosi, in Scarselli il valore di un atto emblematico che, nel sogno di carpire il segreto della morte lasciandosi dietro l'annientamento da espiare nella vita, contempla ed enuclea il travaglio che fu della lontana opera classica.

Recensione
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