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Camera oscura

I versi incisivi e sintetici di Camera oscura (Garzanti Editore, terza edizione) di Paolo Ruffilli sono ispirati dalle foto di uno o, forse, più album di famiglia. Le immagini cristallizzate di lui bambino o poco più che adolescente, dei genitori, dei nonni e di altri a loro vicini, gli riportano alla mente squarci della propria vita e di quella dei congiunti, gli ispirano inoltre plausibili e brevi storie quotidiane piene di pathos, nelle quali non mancano riflessioni sul senso dell’esistere e sulla morte.

Nei testi, anche se sulle fotografie è indicata la data in cui sono state scattate, la distanza temporale tra il poeta e le persone immortalate dall’obiettivo sembra annullarsi, questo perché, come sottolinea Giovanni Raboni nella prefazione al libro, nella poesia «il tempo non esiste». Perfino conoscere i nomi dei luoghi in cui i soggetti sono stati ritratti diventa per lui irrilevante, infatti, la sua anima e i suoi sensi sono tesi a scandagliare i tratti somatici e psicologici di quelle figure, con i loro «pregi e i torti | posti sotto vetro» (p. 9); a pensare «a quel che era e che | poteva non essere stato, | al caso cui si lega | ogni storia» (p. 73); a come la vita unisca e poi divida; a quanto possa risultare estranea l’immagine di un se stesso ormai svanito.

Nonostante le esistenze di quelle persone che osserva si siano già concluse e nonostante le immagini che ne restano siano statiche e immutabili, impresse solo sulla carta e nei ricordi di chi le ha conosciute, o ne ha sentito parlare, lui le fa rivivere nelle pagine del suo libro grazie alle parole scritte.

L’originalità di Camera oscura non è data unicamente dai contenuti, ma anche dalla sua struttura. Le composizioni, infatti, non solo si susseguono secondo uno schema ben preciso, ma presentano due caratteristiche formali diverse. Quelle con i versi introduttivi posti tra parentesi descrivono le espressioni, i tratti somatici, gli abiti, le pose, delle persone raffigurate nelle foto e narrano l’attimo immortalato o le loro storie, a volte rielaborate altre scaturite dall’immaginazione del poeta. In esse non mancano però considerazioni di varia natura. Suddivise in gruppi di quattro, sono precedute da una composizione di carattere riflessivo che funge quasi da preludio senza intaccare l’armonia dei contenuti del poemetto, anzi, al contrario, diventa un elemento di coesione.

I tanti personaggi (molti dei quali donne) delineati nei versi non risultano anonimi e freddi. Con poche incisive parole, infatti, Ruffilli legge poeticamente “i segni” e “i dati” impressi sulle foto, conferendo loro un’identità ben precisa, una personalità definita con propri sentimenti e pensieri. Unica eccezione è rappresentata dal «piccolo fagotto | abbandonato in mezzo | a nastri e fiocchi, | nel cestino, avvolto | in fiori bianchi» (p. 94) che è stato privato dell’opportunità di esistere in un tempo e uno spazio, di avere «memoria o nostalgia». Servendosi di pochi tratti riesce a riposizionarli in «un reale | ricomposto» (p. 47), con la certezza che qualcosa di loro sia ancora vivo in lui. I ruoli però ora, a volte, risultano invertiti, è lui infatti a sentirsi “il padre di suo padre” (raffigurato in quella «immagine, | ostruita, rimasta | allo stato di passato»), «Pronto e contento, | a prenderlo per mano | a parlargli del mondo | e della vita, | guidandolo lontano» (p. 62).

Leggendo Camera oscura si ha l’impressione che per Paolo Ruffilli la ricerca del senso della vita con le sue illusioni di libertà e di giustizia, le sue contraddizioni e causalità, le sue gioie e i suoi dolori, la sua labilità e il suo inevitabile incontro con la morte, sia prioritaria e quasi innata. Confida infatti che gli «balenò, a sei anni,| la prima volta | l'idea dell'inarrestabile | declino, il correre | di tutto ad un punto morto» (pag. 61).

E i suoi versi spezzati da enjambement sembrano voler mettere in evidenza non solo le ferite e il vuoto lasciato dalle presenze diventate assenze, ma anche il turbamento dell’anima nel constatare come il tempo trasforma e cancella tutto, lasciando labili tracce di ciò che è stato. Tracce che soltanto gli occhi di un poeta molto sensibile sono in grado di notare e decifrare.

Recensione
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